L’elisir del progresso? Non esiste
Sviluppo Per Robert Nisbet la società non cresce come un essere vivente (Ibl Libri)
Ci fa comodo credere che la storia umana proceda come la crescita di un organismo vivente, attraverso il progressivo dispiegarsi delle potenzialità insite nelle diverse formazioni sociali. È una visione che può assumere una forma ciclica, per cui si avrebbero fasi di ascesa, picchi di splendore e poi periodi di decadenza, come ritenevano gli autori antichi. Oppure può essere formulata in termini lineari, ipotizzando un progresso indefinito che, attraverso varie tappe, magari anche dolorose o di carattere rivoluzionario, ci conduca verso un radioso avvenire.
Purtroppo le cose non stanno affatto così, ci avverte lo studioso americano Robert Nisbet nel libro del 1969 Storia e cambiamento sociale, ora riproposto (dopo un’edizione italiana del 1977) dall’istituto Bruno Leoni (Ibl Libri) nella traduzione di Stefano Magni. La ricerca di «una teoria unificata del mutamento», in cui molti personaggi illustri (il più noto è forse Karl Marx) si sono esercitati, non approda da nessuna parte, assomiglia agli sforzi dei nostri antenati per trovare l’«elisir dell’eterna giovinezza».
Secondo il conservatore Nisbet (scomparso nel 1996), le società per conto loro tendono ad essere persistenti, a non cambiare più di tanto, e si trasformano soprattutto per reazione a stimoli provenienti dall’esterno. Per questo la storia non finisce mai, anzi resta imprevedibile anche quando sembra darci ragione. E conviene dubitare, come ammoniva Giacomo Leopardi, delle sue «magnifiche sorti e progressive».