Corriere della Sera

De Gasperi, un mediatore severo Il leader che piaceva a Montanelli

Portò l’italia alla Repubblica senza rompere con gli elettori monarchici E con le sue decisioni di politica estera collocò il Paese sui binari giusti

- Di Dino Messina

Aveva la tenacia del montanaro e la cautela dell’uomo di curia, scrivono Indro Montanelli e Mario Cervi di Alcide De Gasperi. E sui passi dell’uomo politico trentino è possibile tracciare il filo rosso dello straordina­rio L’italia della Repubblica (in omaggio da martedì con il «Corriere), che racconta il biennio cruciale del dopoguerra, dalla scelta istituzion­ale del 2 giugno 1946 al successo democristi­ano e alla sconfitta del fronte socialcomu­nista del 18 aprile 1948.

Di quale pasta fosse fatto e quale fiuto politico avesse, il leader democristi­ano lo aveva dimostrato già nei mesi precedenti la campagna per il referendum istituzion­ale e la Costituent­e, quando nonostante il partito si fosse pronunciat­o a maggioranz­a per la Repubblica, lui aveva lasciato ai militanti libertà di coscienza. Perché una tale scelta? Non certo in ossequio alle direttive della curia e di Pio XII, con cui non ebbe mai rapporti tranquilli, ma per il fiuto del politico di razza che non voleva disperdere i consensi moderati e monarchici, soprattutt­o al Sud. È stato calcolato che degli otto milioni di voti presi dalla Dc il 2 giugno 1946, ben sei erano di monarchici. «Il grande tessitore» aveva visto giusto e quando la sera del 4 giugno cominciaro­no ad affluire i primi risultati, che davano una vittoria monarchica, egli poté scrivere una compiaciut­a lettera al ministro della Real Casa Falcone Lucifero. E senza fare una piega il giorno dopo andò al Quirinale con il segretario Bartolotta e il fido Andreotti per comunicare, «dolorosame­nte sorpreso», a Umberto di Savoia che in effetti aveva vinto la repubblica.

Ma lui, il tessitore trentino, per chi aveva votato? La figlia Maria Romana ha sempre sostenuto che votò per la repubblica. Ma l’uomo era un mediatore e volle che il capo provvisori­o dello Stato nel biennio della Costituent­e fosse monarchico e meridional­e, per sopire il senso di sconfitta di una fetta consistent­e di italiani. Così fu scelto Enrico De Nicola. Di sentimenti monarchici era anche il primo presidente della Repubblica eletto nel 1948: Luigi Einaudi.

Impegnato com’era nel ruolo di capo del governo, De Gasperi lasciò ai «professori­ni» Dossetti, Moro, Fanfani e ai grandi docenti cattolici il ruolo primario nei lavori della Costituent­e. A lui toccarono compiti più difficili, anche in campo internazio­nale. A questo «italiano inconsueto, severo nell’aspetto e asciutto nell’eloquio toccò il compito amaro di farsi difensore di una causa persa in partenza», quella del trattato di pace stipulato il 10 febbraio 1947, con cui l’italia dovette ingoiare il rospo di perdite consistent­i, tra cui quella di gran parte delle terre giuliane. Agli annali della dignità nazionale rimane il discorso che il presidente del Consiglio pronunciò il 10 agosto 1946 a Parigi e che venne accolto dal silenzio dell’assemblea internazio­nale: «Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me».

Quelle parole che ammettevan­o una sconfitta contribuir­ono però ad aumentare il prestigio internazio­nale di De Gasperi. Un prestigio che si consolidò durante il viaggio negli Stati Uniti del gennaio 1947, premessa del rilancio economico di un’italia stremata, dell’alleanza cruciale con la grande democrazia uscita vittoriosa dalla guerra, e del cambio della stagione politica. Passarono pochi mesi dal primo rimpasto governativ­o, dopo il rientro in Italia, e nel maggio 1947 De Gasperi estromise i comunisti e i socialisti dal governo. Lo fece con modi felpati, dicendo a Palmiro Togliatti, «si tratta del pane», alludendo agli aiuti americani e facendogli intraveder­e in prospettiv­a un ritorno dei comunisti al governo.

In realtà la guerra fredda era appena iniziata e con essa una nuova stagione, come dimostrò la campagna elettorasp­eri, le che portò al trionfo democristi­ano del 18 aprile 1948. Una vittoria tutt’altro che scontata, tanto che il socialista Pietro Nenni e il comunista Togliatti discussero su chi dei due dovesse fare il presidente del Consiglio.

La campagna elettorale assunse toni durissimi. De Ga- che alle spalle aveva il Vaticano e gli Stati Uniti, che avrebbero elargito gli aiuti del Piano Marshall solo a un Paese amico, arrivò a dire di Togliatti: «Come il diavolo, ha il piede forcuto». Il capo comunista rispose che avrebbe voluto «prendere a pedate De Gasperi in una parte che non nomino».

È stato detto che il 18 aprile 1948 vinsero i comitati civici di Luigi Gedda e le Madonne pellegrine. In realtà, secondo Montanelli e Cervi, il 18 aprile «non vi fu un’italia cattolica che si rivestì di panni democristi­ani; vi fu un’italia democratic­a, liberale, anticonfor­mista che rivestì insieme all’italia propriamen­te cattolica i panni democristi­ani». Il merito di questa sintesi fu di De Gasperi, che si confermò leader anche della stagione successiva.

Conferenza di pace

Il discorso dello statista trentino a Parigi fu un esempio importante di dignità e coraggio

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Il presidente del Consiglio democristi­ano Alcide De Gasperi (1881-1954) durante un comizio a Milano nel 1948 in occasione delle elezioni politiche
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Indro Montanelli durante una visita a Fucecchio nel 1999 (Ap)

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