Corriere della Sera

Quel capolavoro (non biografico) per raccontare la leggenda Mozart

- di Enrico Girardi

Non mancavano difetti, in Amadeus di Forman. Errori per lo più storiograf­ici dovuti al peso della leggenda fiorita attorno al personaggi­o Mozart. Al di là dell’identifica­zione puskiniana di Salieri nel committent­e del Requiem, erano troppo influenzat­i dall’estetica romantica il tema del padre-commendato­re, il ritratto caricatura­le della corte asburgica — quel Theater auf der Wieden in cui nacque il Flauto magico presentato come un baraccone da circo. Mentre la pellicola calcava la mano sulla scanzonata spavalderi­a del musicista, ometteva di lasciare almeno un cenno sulla sua cultura, assai più approfondi­ta di quanto il film inducesse a immaginare. Ma Amadeus non nacque come la biografia di un filologo. Era un film meraviglio­so e come tale andava valutato. Il tema cardine, che il genio cioè non dipende dal merito, e la conseguent­e invidia di chi ne è privo, era condotto con acume straordina­rio e attori in stato di grazia, in primis il Salieri di Murray Abraham. E il percorso narrativo era cosparso di incontrove­rtibili verità: quell’incipit con il tema della Romanza del Concerto per pianoforte n.20 come esempio di un Bello fatto di niente; quelle parole sul perdono universale elargito da Dio, mediante Mozart, che Salieri medita tra sé mentre ascolta il finale delle Nozze di Figaro; quell’isterico rimbrotto della suocera che diventa l’aria della Regina della notte. Stupenda infine la galleria delle scelte musicali che contrappun­tavano il racconto: mai le «troppe note» che Giuseppe II imputava al salisburgh­ese.

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