Corriere della Sera

LEGGE SUL FINEVITA E SINDROME DI TITONE

- di Dario Manfellott­o*

Nel dicembre 2017, il Parlamento ha votato la legge 219 su Consenso informato e disposizio­ni anticipate di trattament­o, che detta le norme per la drammatica fase del fine vita. Questa legge ha suscitato polemiche, diviso medici e cittadini, laici e religiosi. È in linea con la legge 38/2010, che garantisce la terapia del dolore e le cure palliative non soltanto per i malati di tumore, ma per tutti i pazienti con malattie croniche non più curabili, come demenza, scompenso cardiaco, cirrosi.

I medici internisti della Fadoi, società scientific­a di Medicina Interna, insieme agli infermieri dell’associazio­ne Animo, hanno dedicato il 7 Aprile alla «Giornata del fine vita», con una serie di iniziative per discutere su come affrontare questa fase delicata, migliorand­o e umanizzand­o l’assistenza. La scelta non è casuale. I reparti di medicina accolgono il 70% dei pazienti in fase terminale, coprendo un ruolo non solo sanitario ma anche sociale ed umano. Tant’è vero che il Presidente della Repubblica ha concesso all’iniziativa l’adesione e la Medaglia di rappresent­anza. Molti dei principi della legge sono già presenti nella dichiarazi­one di Helsinki , riferiment­o etico internazio­nale, nella convenzion­e di Oviedo, nel codice deontologi­co dei Medici, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che sulla rinuncia al cosiddetto «accaniment­o terapeutic­o», scrive che «non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire….la morte non è voluta come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabil­e».

Serve però un’evoluzione culturale. I progressi della medicina inducono molte persone a non accettare la morte, a non considerar­la inevitabil­e. È quella che viene chiamata la sindrome di Titone. Nel mito greco, Titone, bellissimo figlio del Re di Troia, fece innamorare Eos, dea dell’aurora. Per poterlo sposare, Eos chiese a Giove di dargli il dono dell’immortalit­à, ma fece l’errore di non chiedere anche l’eterna giovinezza . E così Titone invecchiav­a senza poter morire, sempre più malato e disabile, mentre Eos risorgeva bellissima ogni mattina. Questo mito è in qualche modo la metafora della Medicina moderna. Le nuove cure e le nuove tecnologie hanno allungato la vita, ma prolungato la vecchiaia. Purtroppo, abbiamo ancora molto da imparare per rendere la vecchiaia migliore , «trionfo» e non «naufragio» e predisporr­e un fine vita dignitoso ed umano.

*Presidente Eletto Fadoi, Società scientific­a di Medicina Interna

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