Corriere della Sera

NINO BENVENUTI

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Io e Griffith? Come fai a non diventare amico di uno con cui ti sei battuto per 45 riprese? Piansi quando seppi che era solo e malato a New York: lo portai in Italia le più serena, sarei rimasto campione per cent’anni».

Delle sue imprese sportive, quale ricordo le è più caro?

«Di mio, non ci penso mai, certe memorie possono insuperbir­e, ma ogni giorno qualcuno me ne rammenta una. La medaglia olimpica al collo, nel 1960, a Roma, era il mio traguardo preciso, oltre non ambivo ad altro. L’oro non te lo leva nessuno, il titolo mondiale devi sempre difenderlo».

I tifosi si dividevano fra Sandro Mazzinghi e lei, proletari contro borghesi.

«Era l’italia di Bartali e Coppi, Rivera e Mazzola. In effetti, la mia era una famiglia benestante, ho avuto genitori colti, ma la differenza fra noi era soprattutt­o di temperamen­to: io facevo una boxe ragionata ma capace di colpi improvvisi e straordina­ri, lui era d’impeto, di forza fisica, di aggressivi­tà. Mi spiace che non abbia mai accettato il ko del 18 giugno 1965».

Come diventò amico di Emile Griffith?

«Come non si può essere amico di uno col quale ti sei battuto per 45 riprese?».

Quando gli venne l’alzheimer e cadde in povertà, andò a prenderlo in America.

«L’alzheimer, per noi pugili, è una sorta di malattia “profession­ale”. A furia di prendere pugni in testa, ti arriva. Quando ho rivisto Emile nel 2010 a New York, abbandonat­o da tutti in trenta metri quadri, mi è venuto da piangere. Ho fatto quello che ho potuto. L’ho portato in Italia per farlo visitare. Ho organizzat­o una raccolta fondi per aiutarlo, fino al giorno della sua morte, nel 2013, in una casa di riposo a Long Island».

Avete mai parlato di Benny Paret? Di Griffith, che era gay e lo pestò a morte in un match, dopo che Paret gli aveva rivolto insulti omofobi?

«Ricordo Emile che gli spara sulla testa 18 pugni, poi altri 29. Sono certo che ha vissuto con quel fantasma per tutta la vita, ma non ho mai voluto riaprirgli quel dolore».

Perché nel 1995 è andato fino in Argentina per portare la bara di Carlos Monzón?

«Perché uno che mi ha sconfitto due volte se lo meritava. Era più grosso e forte, ma la forza gli veniva anche dalla povertà e dalla violenza che aveva vissuto, passando dalla morte di sei dei suoi 12 fratelli fino alla condanna per l’omicidio della moglie. Il suo dolore meritava il mio rispetto».

Segue ancora la boxe?

«No. Non ci sono più i campioni. Oggi vanno i calciatori, nessun giovane ha la voglia di riscatto che avevamo noi, a nessuno verrebbe in mente di farsi spaccare il naso». Il libro ● Di Isola d’istria (oggi in Slovenia), Benvenuti è stato uno dei pugili più forti di sempre

La sua voglia di riscatto dove nasceva?

«In Istria, la mia terra. Ancora oggi mi sento un esule. Ci ho lasciato il mio cuore e la mia rabbia per essere stato derubato della mia identità. Solo l’esodo di 350 mila istriani ha evitato che si consumasse­ro massacri ancora più brutali di quelli delle foibe. Quando siamo arrivati in Italia, ci chiamavano fascisti, ma eravamo italiani, da allora non ho più avuto una patria».

Perché, a un certo punto, è andato per tre mesi in India, in un lebbrosari­o?

«Perché dovevo capire una volta per tutte quanto ero stato fortunato».

Cosa le ha insegnato anche nella vita?

il pugilato di utile

«A come continuare anche se si è stanchi. A sentire il dolore e non esternarlo».

Chi è stato il pugile più grande?

«Cassius Clay. Mi commuovo ancora pensando che, dopo la sconfitta nel secondo match con Griffith, venne in camerino e mi disse: per me, non hai perso, sei stato il più forte».

Il 19 aprile esce la sua autobiogra­fia, «L’orizzonte degli eventi», di Cairo editore, scritta con Mauro Grimaldi e Ottavia Fusco Squitieri. Come nasce?

«Da un’idea di Pasquale Squitieri per un documentar­io che non ha fatto in tempo a realizzare. Poi con Mauro, amico da tanto, vicepresid­ente della Lega Pro, è nata la formula di raccontarm­i per parole chiave, che sono ognuna un capitolo della mia vita».

Un altro amico caro è stato Giuliano Gemma.

«Era più di un fratello. Ci siamo conosciuti nel centro di addestrame­nto dei pompieri di Capannelle, a Roma, per la leva obbligator­ia. Lui era già famoso, ci sfidavamo su tutto: chi saltava meglio da dieci metri, chi era il più veloce sulla scala a ganci. Quando mi ha chiamato per girare uno spaghetti western è stato come sentirmi a casa. Perderlo in un incidente stradale è stato come lasciare andare un pezzo di me».

La morte la preoccupa?

«No, perché sono cristiano e perché è la morte che ci fa amare la vita. Sa che noia vivere pensando di essere eterni?».

Il suo più grande rimpianto?

«Il rapporto coi figli. Quelli avuti con Giuliana, cinque inclusa una adottata, non li vedo, non li sento, non mi vogliono parlare. Lei me li ha messi contro. Ho nipoti che non conosco e penso che, anche se non sono stato un buon padre, potrei ancora essere un buon nonno».

 ??  ?? ● L’autobiogra­fia di Nino Benvenuti «L’orizzonte degli eventi» scritta con Mauro Grimaldi e Ottavia Fusco Squitieri per Cairo editore, verrà presentata giovedì 19 aprile (il giorno di uscita in libreria) alle 18 alla Feltrinell­i di Galleria Alberto...
● L’autobiogra­fia di Nino Benvenuti «L’orizzonte degli eventi» scritta con Mauro Grimaldi e Ottavia Fusco Squitieri per Cairo editore, verrà presentata giovedì 19 aprile (il giorno di uscita in libreria) alle 18 alla Feltrinell­i di Galleria Alberto...

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