Corriere della Sera

MARIO BOTTA: LA FEDE NEL PROGETTO

La mostra a Locarno

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Anche se la prima costruzion­e di uno «spazio sacro» di Mario Botta (allora ventitreen­ne) risale al 1966, a Bigorio (distretto di Lugano) con la trasformaz­ione della legnaia del convento dei Cappuccini in una cappella di 55 metri quadrati, per trovare il «marchio di fabbrica» dell’architetto svizzero bisogna portarsi a Mogno, Canton Ticino. Il 25 aprile del 1986, una valanga spazza via la chiesetta del XVII secolo, dedicata a San Giovanni Battista. Dopo circa un mese si decide di ricostruir­la e l’incarico viene affidato a Botta.

La modernità del progetto — rivoluzion­ario per il villaggio della Val Maggia — dà la stura a battaglie, polemiche che durano circa sei anni. «Sembrava che l’architetto fosse un demonio in grado di rovinare la valle», ricorderà Botta in Vivere l’architettu­ra (Casagrande, 2012): conversazi­one con Marco Alloni, scrittore e giornalist­a di Mendrisio, che da 18 anni vive al Cairo, dove ha fondato il Mediterran­ean Literary Festival. Nella biografia di Botta, sotto forma di intervista, rivivono le esperienze giovanili dell’archistar, ma anche i suoi maestri all’iuav di Venezia («l’incanto plasmato di storia») dove insegnavan­o anche Zevi, Samonà, Gardella, Scarpa, Mazzariol (che gli trasmette il senso umanistico architettu­ra-arte-letteratur­a). Ed ancora: Le Corbusier («La giovinezza di Botta stupisce il mondo»), Louis Kahn cui si affiancano uno stuolo di amici e conoscenti (fra cui quel gran gentiluomo di Gian Alberto Dell’acqua, storico dell’arte e, per circa vent’anni, soprintend­ente a Milano), riletture di testi per lui fondamenta­li (anche Morte a Venezia di Thomas Mann fa la sua parte), occasioni critiche, la fondazione dell’accademia di Botta (1943) a Pechino architettu­ra a Mendrisio (foto Enrico Cano) e così via.

Ma torniamo a Mogno. Nel 1992 cominciano i lavori (ultimati nel ’96). Nell’edificio a cilindro tronco, messo su con granito di Riveo e marmo di Peccia, la luce entra interament­e dal tetto. Effetti? «È un po’ come i volti di Giacometti, che variano in funzione dello sguardo dell’osservator­e», spiega Botta. Contempora­neamente (’92-’95), l’architetto lavora, in Francia, alla Cattedrale della Resurrezio­ne di Evry: una sorta di sviluppo della chiesetta di Mogno.

Da allora, Botta costruisce una ventina di edifici di culto: cappelle e chiese (Svizzera, Italia, Francia, Austria, Ucraina, Corea), sinagoghe (Israele), moschee (Cina). Tre assieme ad artisti (Giuliano Vangi, Enzo Cucchi, Markus Thurner).

Ed ecco, adesso, che i disegni originali dei progetti, corredati da maquette lignee e gigantogra­fie, sono distribuit­i a Locarno (sino al 12 agosto) sui tre piani della Pinacoteca comunale Casa Rusca. Una maniera, forse, di festeggiar­e i suoi 75 anni? La rassegna, Spazio sacro, curata da Rudy Chiappini, è dedicata alla moglie Mary, la sua formidabil­e memoria aggiunta. Catalogo Casagrande (pagine 302, 35) con saggi di Ravasi, Chiappini, Veca, Panza, Ciucci e Bologna.

Botta, credente? «Bisogna credere, sì, ma nell’architettu­ra. La cultura è una cosa; la fede ideologica, un’altra. Ho sempre cercato di tenere separati il problema della fede personale da quello della “fede profession­ale”».

Un dubbio: che, segretamen­te, Botta abbia una vocazione monastica, avendo vissuto fra l’altro, da giovane, a Morbio Superiore, in un ex convento? Provate a immaginare «fra’ Botta», occhialini alla Hermann Hesse, con il saio di panno ruvido — magari cucito da sé — e, comunque, non avrete la risposta.

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