MARIO BOTTA: LA FEDE NEL PROGETTO
La mostra a Locarno
Anche se la prima costruzione di uno «spazio sacro» di Mario Botta (allora ventitreenne) risale al 1966, a Bigorio (distretto di Lugano) con la trasformazione della legnaia del convento dei Cappuccini in una cappella di 55 metri quadrati, per trovare il «marchio di fabbrica» dell’architetto svizzero bisogna portarsi a Mogno, Canton Ticino. Il 25 aprile del 1986, una valanga spazza via la chiesetta del XVII secolo, dedicata a San Giovanni Battista. Dopo circa un mese si decide di ricostruirla e l’incarico viene affidato a Botta.
La modernità del progetto — rivoluzionario per il villaggio della Val Maggia — dà la stura a battaglie, polemiche che durano circa sei anni. «Sembrava che l’architetto fosse un demonio in grado di rovinare la valle», ricorderà Botta in Vivere l’architettura (Casagrande, 2012): conversazione con Marco Alloni, scrittore e giornalista di Mendrisio, che da 18 anni vive al Cairo, dove ha fondato il Mediterranean Literary Festival. Nella biografia di Botta, sotto forma di intervista, rivivono le esperienze giovanili dell’archistar, ma anche i suoi maestri all’iuav di Venezia («l’incanto plasmato di storia») dove insegnavano anche Zevi, Samonà, Gardella, Scarpa, Mazzariol (che gli trasmette il senso umanistico architettura-arte-letteratura). Ed ancora: Le Corbusier («La giovinezza di Botta stupisce il mondo»), Louis Kahn cui si affiancano uno stuolo di amici e conoscenti (fra cui quel gran gentiluomo di Gian Alberto Dell’acqua, storico dell’arte e, per circa vent’anni, soprintendente a Milano), riletture di testi per lui fondamentali (anche Morte a Venezia di Thomas Mann fa la sua parte), occasioni critiche, la fondazione dell’accademia di Botta (1943) a Pechino architettura a Mendrisio (foto Enrico Cano) e così via.
Ma torniamo a Mogno. Nel 1992 cominciano i lavori (ultimati nel ’96). Nell’edificio a cilindro tronco, messo su con granito di Riveo e marmo di Peccia, la luce entra interamente dal tetto. Effetti? «È un po’ come i volti di Giacometti, che variano in funzione dello sguardo dell’osservatore», spiega Botta. Contemporaneamente (’92-’95), l’architetto lavora, in Francia, alla Cattedrale della Resurrezione di Evry: una sorta di sviluppo della chiesetta di Mogno.
Da allora, Botta costruisce una ventina di edifici di culto: cappelle e chiese (Svizzera, Italia, Francia, Austria, Ucraina, Corea), sinagoghe (Israele), moschee (Cina). Tre assieme ad artisti (Giuliano Vangi, Enzo Cucchi, Markus Thurner).
Ed ecco, adesso, che i disegni originali dei progetti, corredati da maquette lignee e gigantografie, sono distribuiti a Locarno (sino al 12 agosto) sui tre piani della Pinacoteca comunale Casa Rusca. Una maniera, forse, di festeggiare i suoi 75 anni? La rassegna, Spazio sacro, curata da Rudy Chiappini, è dedicata alla moglie Mary, la sua formidabile memoria aggiunta. Catalogo Casagrande (pagine 302, 35) con saggi di Ravasi, Chiappini, Veca, Panza, Ciucci e Bologna.
Botta, credente? «Bisogna credere, sì, ma nell’architettura. La cultura è una cosa; la fede ideologica, un’altra. Ho sempre cercato di tenere separati il problema della fede personale da quello della “fede professionale”».
Un dubbio: che, segretamente, Botta abbia una vocazione monastica, avendo vissuto fra l’altro, da giovane, a Morbio Superiore, in un ex convento? Provate a immaginare «fra’ Botta», occhialini alla Hermann Hesse, con il saio di panno ruvido — magari cucito da sé — e, comunque, non avrete la risposta.