Corriere della Sera

Striano: «Era un guardiano della libertà»

- Laura Zangarini

MILANO Non riesce a fermare le lacrime, Salvatore «Sasà» Striano, il Bruto di Cesare deve morire. Ha saputo di Vittorio qualche ora prima di salire sul palco del Franco Parenti di Milano, che ieri ha ospitato l’ultima replica di Dentro la tempesta, spettacolo in cui racconta la sua rinascita dall’inferno del carcere ad attore per Garrone (Gomorra) prima e per i Taviani dell’orso d’oro a Berlino poi.

«Abbiamo perso un guardiano della libertà — dice tra i singhiozzi —, perché questo hanno raccontato Paolo e Vittorio dalla Notte di San Lorenzo a Una questione privata: la libertà». Per Sasà, «Vittorio era come un padre. Mi ha incoraggia­to, sostenuto, tolto l’etichetta di “criminale” che portavo cucita addosso. Gli devo tutto. Tutto». Un debito di riconoscen­za immenso. «Vittorio e Paolo mi hanno rimesso al mondo. Ero un poco di buono: loro hanno creduto in me. Mi hanno sempre esortato a non mollare, a continuare sul percorso che avevano tracciato per me, difendendo­mi e sostenendo­mi. Come quella volta che, a Berlino, non volevano farmi entrare in albergo perché ero senza carta di credito. Vittorio si indignò e diede la sua».

Riflette: «Sentivano che si stava avvicinand­o la fine. Ma Vittorio non aveva paura. Sembrava un bambino con quell’eterna coppolina in testa e il sorriso pronto a sbocciare. Era estroverso, sempre pronto a scherzare; Paolo è più serioso, riservato. Con Vittorio se ne è andata la risata». Dal cassetto dei ricordi, ecco un altro aneddoto: sul set di Cesare deve morire, nel carcere di Rebibbia, i due fratelli, dopo pranzo, «facevano un sonnellino. Un giorno andammo lunghi con le riprese, Orso d’oro Salvatore «Sasà» Striano, il Bruto di «Cesare deve morire», film premiato a Berlino con l’orso d’oro per cui decisero di fare il riposino in cella. C’era però di turno una guardia “nuova”, chiuse a chiave la cella e, alle loro proteste, rispose: “Non mi interessa se siete i Taviani o Riina. Rimanete in galera». Quando li fecero uscire Vittorio commentò: «Mi sono bastati pochi minuti per capire come vi sentiate lì dentro. Ma come fate a resistere?».

Si asciuga gli occhi. «Incontrarl­i è stata una magia. Mi hanno insegnato a studiare, perché il mestiere dell’attore va coltivato. Ho imparato anche la regia. Tutte le mattine, per decidere chi avrebbe girato una scena, se la sorteggiav­ano a pari e dispari. Poi aprivano a caso le pagine di un libro e chi vinceva andava sul set». Cosa farà, ora? «Correrò a Roma, dopo il teatro, per essere vicino a Paolo. Lo pregherò di essere forte. Di più non riesco a dire. Non trovo le parole».

"Vittorio era come un padre Mi ha incoraggia­to e sostenuto, mi ha tolto l’etichetta di “criminale” che portavo cucita addosso

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