Amata e rapita dal dittatore Addio a Choi, diva del cinema nelle due Coree
U na vita da film. Meglio: un’esistenza che sembrava tratta direttamente da una sceneggiatura di una pellicola d’azione (a lieto fine). Choi Eun-hee — uno dei visi più amati della cinematografia sudcoreana — si è spenta a 92 anni dopo un breve ricovero per una dialisi. Negli anni Settanta l’attrice era stata rapita con l’ex marito, Shin Sang-ok, a sua volta un celebre regista, per ordine di Kim Jong-il, allora numero due del regime nordcoreano ancora sotto la guida del padre fondatore, Kim Il-sung. Il giovane delfino, appassionato di film hollywoodiani, aveva immaginato che la presenza dei coniugi a Pyongyang avrebbe migliorato la qualità delle pellicole che venivano prodotte nel Regno Rosso. Ovviamente l’avventura delle due stelle era poi finita in un film intitolato «Gli amanti e il despota», scritto senza fatica al loro insperato ritorno.
Merita dunque di essere raccontata la storia di Choi (e Shin). Diventata a partire dal La vicenda
● Nel 1978 l’attrice sudcoreana Choi Eun-hee fu rapita dal Nord per recitare per il regime
● Col marito regista è stata prigioniera 8 anni. È morta ieri a 92 anni 1947 una delle interpreti più amate della Corea del Sud, Choi Eun-hee aveva creato un sodalizio artistico e personale con l’uomo che aveva contribuito a lanciarla come diva: insieme avevano girato 130 pellicole. La coppia sembrava poter sfidare qualunque destino. Salvo che i sentimenti — nella vita reale come nella finzione — hanno una loro parabola. A metà degli anni Settanta Choi non sembrava più capace di incantare il suo pubblico. E anche il matrimonio con Shin era agli sgoccioli: il divorzio A destra, una foto scattata nel 1989 a Seul, in cui l’attrice Choi Eun-hee e suo marito Shin Sang-ok, regista e produttore, salutano il pubblico che li accoglie all’aeroporto. A sinistra Kim Ilsung, figlio dell’ex dittatore nordcoreano Kim Jong-il e padre dell’attuale leader Kim Jongun, durante le riprese di Pulgasari, il Godzilla della Corea del Nord tra i due coincise con l’oblio dell’attrice che aveva fatto sognare, per decenni, i sudcoreani usciti dall’incubo dell’occupazione giapponese prima e della guerra civile poi.
È stato allora che un misterioso personaggio, che avrebbe potuto tranquillamente uscire dalla fantasia di un Hitchcock, bussò alla sua porta, presentandosi come un uomo d’affari di Hong Kong, desideroso di offrirle un’occasione per rinverdire i fasti di un carriera ormai sul viale del tramonto. Choi non aveva saputo resistere e aveva seguito l’uomo fino alla colonia britannica. Ma lì, invece di un contratto per costituire una compagnia di produzioni, aveva trovato un gruppo di sconosciuti che, senza proferire parola, l’avevano rapita, sedata e trasportata di nascosto in Corea del Nord. Choi si era risvegliata in una villa lussuosa ma guardata a vista. Era prigioniera. Un anno più tardi un colpo di scena la sorprese fino alle lacrime: l’ex marito, non si sa se imbeccato da qualcuno, era finito nelle mani degli stessi figuri e alla fine aveva aperto gli occhi ritrovandosi il sorriso preoccupato dell’ex moglie: «Mi dispiace».
Ci sono diverse immagini di Choi e Shin, sorridenti ma con un velo di angoscia negli sguardi, in compagnia di un giovane Kim Jong-il, loro fan e carceriere. I due rimarranno «prigionieri» al Nord per otto anni, senza poter chiedere aiuto o semplicemente far sapere al mondo, al figlio maggiore Jeong-gyun dove si trovassero. Fu soltanto in occasione di una trasferta a Vienna, ottenuta dopo aver recitato con Kim la parte dei convinti sostenitori del regime, che la coppia riuscì a sfuggire alla sorveglianza degli agenti nordcoreani per infilarsi nell’ambasciata americana e chiedere finalmente aiuto. L’incubo era finito. Il ritorno in patria segnò anche il ritrovato successo di Choi la cui vita era diventata, per tutti, di nuovo, un film.