«Il premio Nobel per il Bosone è (anche) mio»
La direttrice del Cern: sono competitiva, ma in senso buono
Fabiola Gianotti è la prima donna a dirigere il Cern di Ginevra, la terza italiana dopo Rubbia e Maiani. Fu lei, nel 2012, a denunciare la scoperta del Bosone di Higgs. «Quel Nobel — si racconta — lo sento un po’ anche mio». E poi la nostalgia per la Sicilia, i genitori, la passione per musica e le lettere.
S dalla nostra inviata a Ginevra Elvira Serra e le dico 29 ottobre cosa le viene in mente?
«È il mio compleanno». Perché Fabiola?
«È un nome che piaceva molto alla mia mamma, suonava bene al suo orecchio. Penso ci fosse un po’ l’influenza del fatto che all’epoca la regina del Belgio si chiamava Fabiola».
Un nome da regina, un bel futuro davanti. «Penso che la mia mamma non pensasse a me come a una regina...».
Il primo ricordo nitido da bambina.
«La mia festa di compleanno dei quattro anni. La mia mamma mi aveva vestita con un bellissimo vestitino a fiori, ho ancora l’immagine di lei che mi allaccia la cintura».
Ha fratelli e sorelle?
«Sì, ho un fratello. È un ingegnere elettrotecnico».
Cosa pensa di aver ereditato da suo padre e da sua madre?
«Da mio padre l’amore per la natura. Ricordo lunghissime passeggiate in montagna da piccola, ci fermavamo quasi a ogni passo a osservare un fiore, un coleottero... Dalla mia mamma la passione per la musica e per le lettere, che mi ha poi portata agli studi classici e al pianoforte. Vado a trovarli molto spesso».
Fabiola Gianotti, prima donna a dirigere il Cern, il più grande laboratorio di fisica al mondo, indossa un maglione giallo canarino e una collana di perle. È rigorosa, veloce. Non concederà più di un minuto della mezz’ora pattuita, ma risponderà a tutto con onestà e, alla fine, si presterà con allegria a una foto ricordo insieme. Guarda spesso oltre i vetri del quinto piano del Building 60 dell’european Laboratory for Particle Physics, verso le cime innevate del Monte Salève e del Monte Bianco.
E se le dico 4 luglio cosa le viene in mente?
Si illumina. «Il 4 luglio 2012: l’annuncio della scoperta del Bosone di Higgs, un giorno bellissimo per le migliaia di fisici, ingegneri e tecnici che hanno partecipato allo straordinario progetto del Large Hadron Collider (l’acceleratore di particelle lungo 27 chilometri al confine tra la Svizzera e la Francia, ndr)».
Per la scoperta del Bosone di Higgs, Peter Higgs e François Englert hanno vinto il Nobel. Andò alla cerimonia?
«Sì, fui invitata da Peter Higgs».
Lei lo vorrebbe vincere il Nobel?
«Beh, il Nobel per una scoperta sperimentale come il Bosone di Higgs non va a una persona, ma a una comunità di migliaia di fisici».
Quindi un po’ quel Nobel è anche suo...
«In effetti abbiamo considerato il Nobel a Higgs e a Englert anche un po’ come un premio agli sperimentatori e ai fisici che avevano contribuito alla sua scoperta. È stata una grandissima soddisfazione anche per noi».
E fu lei a darne l’annuncio.
«Per un ricercatore la scoperta di una nuova particella è un sogno, è il coronamento di tanti sforzi, pazienza, determinazione e passione».
Come si è sentita in quel momento?
«È stata una grandissima emozione entrare nell’auditorium del Cern super affollato. Ero stanchissima, venivamo da più di un mese di lavoro giorno e notte per finalizzare i risultati, resistevo grazie all’adrenalina».
Quel giorno ha pianto?
«No, ero concentratissima sulla presentazione... Quel giorno ho retto bene».
E quando non ha retto bene?
«Il giorno in cui sono stata eletta direttore generale del Cern. Quando me l’hanno detto qualche lacrimuccia è scesa».
Era spaventata, preoccupata, emozionata?
«Tutte e tre. Essere direttore del Cern è un grande privilegio e un lavoro straordinario... ma è anche un compito molto, molto arduo».
È meglio dirigere il Cern o un esperimento?
«Sono cose diverse, entrambe entusiasmanti. Dirigere un esperimento è un lavoro più di tipo “familiare”, in una comunità che si conosce bene. Essere direttore del Cern significa occuparsi di tutti gli aspetti del laboratorio, dal programma scientifico al budget alle risorse umane alle relazioni con i Paesi».
Qual è il budget che gestisce?
«Il budget annuale del Cern è pubblico ed è circa un miliardo e centomila franchi svizzeri (quasi 920 milioni di euro, ndr)».
L’italia per quanto partecipa?
«Con circa il 10,5%: 117 milioni di franchi svizzeri (97 milioni di euro, ndr)».
Quante persone lavorano al Cern?
«Siamo 2.500 dipendenti del laboratorio, e se aggiungiamo i borsisti e il personale con contratti di associazione si arriva a circa 3.500. Poi ci sono 13 mila utenti, fisici provenienti da tutto il mondo, e di questi gli italiani sono duemila: è il contingente più alto».
Le donne al Cern quante sono?
«Se ci limitiamo al personale scientifico (fisici, ingegneri e computer scientists) siamo il 12%. Una percentuale ancora molto bassa, ma il progresso c’è stato: nel ‘95 eravamo il 3%».
Pensa di poter avere un impatto ora?
«È inevitabile che avendo una posizione di visibilità io venga presa come riferimento. Non mi sento un role model, ma sono felice se posso incoraggiare le giovani a intraprendere un’attività nel campo della ricerca scientifica».
Ma se si trovasse davanti due curricula esattamente identici, di un uomo e di una donna, quale sceglierebbe?
«Cercherei di dare più opportunità alle minoranze, di qualunque tipo esse siano».
Quanti Paesi sono rappresentati al Cern?
«Più di cento, ricchi e poverissimi, grandi e minuscoli. Abbiamo scienziati persino da Mongolia o Bangladesh. Alcuni fisici vengono da Paesi in guerra o che non si riconoscono il diritto all’esistenza e qui lavorano insieme».
Il ‘900 è stato un secolo incredibile di scoperte per la fisica: l’atomo, la relatività ristretta e generale, la meccanica quantistica, il transistor. Oggi possiamo parlare di un momento altrettanto stimolante?
«Assolutamente sì, le due scoperte dei primissimi anni del nuovo secolo, il Bosone di Higgs e le onde gravitazionali, sono non solo affascinanti, ma anche molto importanti per la comprensione della fisica fondamentale».
Se dovesse scegliere una scoperta su tutte?
«Non è possibile, è come chiedermi di scegliere tra tutta la produzione di pittura o di musica dell’umanità...».
E tra Bach, Mozart e Beethoven?
«Non posso, li amo tutti».
È appena stata nel board del World Economic Forum di Davos, tutto al femminile.
«Il Wef 2018 con sette donne copresidenti ha voluto dare un segnale forte e sottolineare la posizione imprescindibile della donna in ogni settore della società moderna. Per me è stata soprattutto un’ottima occasione per promuovere il ruolo unificante della scienza: si basa su fatti, le leggi della natura sono le stesse in tutti i Paesi. L’amore per la conoscenza è un valore comune agli esseri umani, non ha genere, non ha passaporto, non ha partito politico».
È come la musica.
«Esattamente. Un linguaggio universale».
Esistono i Weinstein nella scienza?
«Immagino che fra centinaia di migliaia di scienziati ci possano anche essere persone che purtroppo non si comportano come esseri umani degni di questo nome. Io fortunatamente non li ho incontrati».
Qual è l’ultimo film che ha visto?
«L’ultimo che mi ha veramente colpito è The Artist. L’ho trovato pieno di poesia e grazia».
Il romanzo che le è rimasto nel cuore?
«Guerra e pace».
Crede negli Ufo?
«No». E ride.
Cosa le manca dell’italia?
«L’arte, i colori, la natura, la gente».
Qual è il suo posto del cuore?
«La Sicilia, la terra di mia madre. Un posto dai colori e profumi forti, con una sovrapposizione straordinaria di culture diverse».
È felice?
«Molto. Mi rende felice la vita, il fatto di avere la salute, molta energia, un lavoro estremamente soddisfacente, affetti familiari molto solidi e tanti amici».
Quando non lavora cosa fa?
«Faccio sport, corro, mi piace camminare, leggo, suono il pianoforte, ascolto musica o mi vedo con gli amici».
Un suo pregio e un suo difetto.
«Pregio: l’ottimismo. Difetto: sono troppo esigente con me stessa».
Cosa la fa sorridere?
«Cose semplici: vedere la natura adesso che sta sbocciando in primavera dopo un inverno molto duro, o l’entusiasmo che in questo ambiente hanno i giovani per quello che fanno».
Cosa può dirci della cena a Washington con Obama, quella del selfie di Bebe Vio?
«Io avevo conosciuto Obama già in precedenza in un ambiente un po’ più ristretto. Mi ha sempre colpito per la sua intelligenza, è una persona estremamente brillante, ama ascoltare gli altri e ha una grandissima cultura».
Chi è la scienziata più grande di sempre?
«Forse Marie Curie, l’unica premiata da più di un Nobel».
Per la fisica e la chimica. E tra le italiane?
«Potrei dire Rita Levi Montalcini e Margherita Hack, ma ce ne sono tante altre».
Le ha conosciute?
«Non personalmente, ma con Margherita Hack ci siamo scambiate un paio di lettere».
Le conserva?
«Sì, conservo tutte le lettere che ricevo».
Ha ricevuto una infinità di riconoscimenti, dall’ambrogino al Breakthrough Prize in Fundamental Physics. Di quale è più orgogliosa?
«Sono tutti belli. Ma quelli che mi stanno più a cuore sono il Premio Enrico Fermi della Società italiana di fisica e l’onorificenza di Cavaliere della Gran Croce che mi ha conferito il presidente Giorgio Napolitano».
È competitiva?
«Sì, sono competitiva nel senso buono del termine. Vedo la competizione come uno stimolo a dare sempre il meglio di me stessa».
La famiglia
Mi chiamo Fabiola per la Regina del Belgio Da mio padre ho ereditato l’amore per la natura, da mia madre la passione per la musica e per le lettere
I curricula
Se mi trovassi davanti due curricula identici, di un uomo e di una donna, quale sceglierei? Cercherei di dare più opportunità alle minoranze