Corriere della Sera

Il mistero di Sana morta in Pakistan «Uccisa dal padre, non voleva sposarsi»

Brescia, aveva 25 anni. Era tornata nel paese di origine a gennaio. Gli amici: era preoccupat­a

- Dal nostro inviato Cesare Giuzzi

L’unica certezza è che Sana è morta. Nel suo paese d’origine, nel piccolo villaggio di Mangowal in Pakistan. Altro non c’è, se non che la sua famiglia l’ha sepolta ormai diverse settimane fa. Le hanno fatto un funerale islamico, l’hanno avvolta nei teli dorati e fotografat­a prima della sepoltura.

Sana Cheema, 25 anni, nata a Glurat, è morta ufficialme­nte per un malore. Una «terribile tragedia» mentre il padre in macchina l’accompagna­va in ospedale. E lo ha raccontato lui stesso, al telefono, a Nasser, nuovo inquilino tunisino che oggi vive nell’appartamen­to al primo piano di via Bevilacqua, 40, dove Sana abitava con i genitori. Ed è un racconto che, per quanto ancora parziale, fissa qualche punto in una storia ancora carica di misteri. Perché ieri sulle pagine del Giornale di Brescia è stata pubblicata la notizia che il padre, Mustafa Ghulam e uno dei due figli, sono stati arrestati dalla polizia pachistana con l’accusa di avere ucciso Sana. La 25enne sarebbe stata ammazzata perché aveva rifiutato di sposarsi con l’uomo scelto per lei dalla famiglia. Perché si era ribellata a una «regola» che in certi villaggi del Pakistan ancora incatena le ragazze a un amore imposto, a un matrimonio combinato, a un futuro senza felicità scelto a tavolino, come merce in un mercato, dalla famiglia. Conferme ufficiali, però, alla morte violenta della 25enne non ce ne sono, né tanto meno alla notizia dell’arresto del padre.

Anche se gli amici pachistani della ragazza, accostano la sua storia a quella della giovane Hina Saleem, uccisa dalla famiglia nel 2006 a Ponte Zanano (Brescia) per impedirle di vivere con il fidanzato italiano. Anche di Sana qualcuno ha raccontato che negli ultimi mesi frequentas­se un ragazzo bresciano. Però di lui non c’è ancora traccia e di certo, nonostante l’assenza della ragazza risalga a metà gennaio, nessuno ha mai sporto denuncia. Al bar la Nuova latteria, all’angolo con via Berchet dove Sana aveva aperto un anno fa una piccola scuola guida per stranieri, di questo ragazzo nessuno ha mai sentito parlare. Ed è strano, perché la

ragazza si confidava, raccontava, rideva e scherzava, come spiega il titolare: «Anche se negli ultimi tempi era attentissi­ma alla dieta, un po’ ombrosa».

Quando è partita a meta gennaio, però, aveva salutato tutti gli amici senza rivelare timore. Neppure al giovane pachistano che frequentav­a e che l’aveva accompagna­ta all’aeroporto di Malpensa. Sana Cheema un anno fa aveva ottenuto la cittadinan­za italiana. Aveva vissuto dal 2003 al 2012 a Verolanuov­a, nella Bassa Bresciana. I due fratelli, invece, vivono in Germania da anni. Poi era tornata a Brescia e aveva lavorato (dando lezioni via Skype) alla scuola guida Omar di via Bevilacqua. Un anno fa aveva deciso di aprirne una tutta sua. Un negozio, oggi vuoto e in affitto, dal quale una settimana dopo la sua partenza erano già state portate via sedie e scrivanie.

«Veniva ogni giorno — racconta il titolare della latteria —. Faceva corsi soprattutt­o per pachistani, ma aveva dato anche lezioni a mio figlio e a un amico. Poi a ridosso del 18 di gennaio aveva scritto un messaggio: “Devo partire urgentemen­te, penso di tornare tra un paio di mesi”. Non aveva neppure aspettato che saldassimo le ultime lezioni. Si dice che fosse tornata in Pakistan per sposarsi».

Il padre frequentav­a la moschea di via Bonardi, e come racconta Zeshan, amico della 25enne, aveva vedute molto severe: «Gli mostrava le fotografie di ragazzi del villaggio, lei guardava le immagini sul cellulare e diceva di no. Una volta si sono picchiati. Nel villaggio dicono che l’abbia uccisa lui, che sia stato coperto dalla polizia. Però non ci sono prove, lo sappiamo. Ma i suoi profili Facebook e Instagram sono stati chiusi, i telefoni bloccati. Bisogna cercare e troverete la verità».

La notizia del (presunto) omicidio di Sana ha creato indignazio­ne in Italia. «È una morte inaccettab­ile. Lottare contro ogni forma di femminicid­io e ogni oscurantis­mo è un dovere morale», ha commentato il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina. «Quanta tristezza, quanta rabbia. In Italia nessuno spazio per chi viene a portare questa “cultura”», ha invece scritto su Facebook Matteo Salvini, segretario della Lega.

In Pakistan, invece, la notizia non è stata riportata da nessun media. È una voce che si rincorre, senza che da Islamabad siano arrivate conferme ufficiali alla polizia italiana. Un sospetto, alimentato dal velo di diffidenza e chiusura, che stringe una comunità che a Brescia conta più di 20 mila presenze. Un mistero, ancora tutto da svelare.

Il racconto

«Lui girava con le foto dei pretendent­i, la figlia guardava sul cellulare e diceva di no»

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Il giallo Sana Cheema, 25 anni, aveva aperto un’autoscuola a Brescia. È morta al ritorno in Pakistan

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