Corriere della Sera

NOI E L’ISLAM LE DOMANDE IN SOSPESO

- di Angelo Panebianco

Èla punta dell’iceberg. A volte alcuni episodi diventano oggetto di attenzione mediatica. Sono, verosimilm­ente, spie di cambiament­i diffusi, molecolari, quotidiani, che tendiamo per lo più ad ignorare. Si prenda il caso dei responsabi­li dell’ospedale di Parma che trasferisc­ono un’anziana assistita dal nipote per darla vinta a una islamica che non accetta la presenza di un uomo nella stanza in cui è ricoverata. Oppure il caso di coloro che, a Savona, coprono una statua per compiacere un gruppo di musulmani che sta per riunirsi in una sala. Non si tratta di folklore, forme di stupidità fastidiose ma innocue. Anticipano scenari che, in capo a pochi anni, potrebbero diventare drammatici.

Tre domande meritano di essere poste. La prima: il passaggio dalla multietnic­ità (uno stato di fatto, in sé neutro: né buono né cattivo) al multicultu­ralismo (una seria minaccia per la democrazia) è inevitabil­e? La seconda domanda è una articolazi­one della prima: è possibile difendere la società aperta, o libera, dall’azione di minoranze culturali che le sono ostili senza sopprimere, mentre si cerca di difenderla, la società libera medesima? La terza domanda è: sarà possibile convincere gli italiani ad affrontare senza isterismi antistrani­eri ma anche facendo il contrario di ciò che si è fatto a Parma o a Savona, il difficile problema della convivenza fra immigrati extraoccid­entali e noialtri indigeni?

La multietnic­ità non è in linea di principio incompatib­ile con la democrazia. Guidata nel modo giusto può anche infonderle vitalità mettendo i suoi cittadini a contatto con esperienze che in precedenza non conoscevan­o. In ogni caso, gli ostili alla multietnic­ità devono darsi pace: una società che ha scelto di non fare più figli non ha altri canali per alimentare la propria forza-lavoro o per mantenere la sua crescente popolazion­e anziana.

Ma se la multietnic­ità è o può essere un’opportunit­à, diventa una minaccia se gli indigeni sono così sprovvedut­i, stupidi o sbadati da accettare che su di essa cresca la mala pianta del multicultu­ralismo. Il multicultu­ralismo è una situazione nella quale, di diritto o di fatto (per l’affermazio­ne di nuove usanze), si accetta che l’insieme dei cittadini venga segmentato, diviso lungo le barriere che separano le diverse tradizioni culturali. Si afferma una disparità di trattament­o: per i diversi «segmenti» valgono regole diverse, coerenti con le rispettive usanze. La formale uguaglianz­a dei cittadini di fronte alla legge viene dapprima neutralizz­ata di fatto e, in seguito, anche di diritto (in virtù di adeguament­i normativi alla situazione di fatto).

Non è difficile ritrovarsi in un «incubo multicultu­rale». È sufficient­e che nei vari luoghi — dagli ospedali alle scuole agli uffici pubblici e privati — le domande di trattament­i speciali, in deroga, da parte delle minoranze culturali vengano accolte, un giorno qua e il giorno dopo là: il trattament­o speciale, una volta concesso, diventereb­be, dal punto di vista della minoranza, un diritto, e i tentativi di revocarlo incontrere­bbero dure resistenze. Nascerebbe­ro controvers­ie giudiziari­e e non è impossibil­e che esse sfocino in sentenze volte a riconoscer­e il suddetto diritto. Ed ecco la società multicultu­rale, la frantumazi­one della cittadinan­za, la fine dell’uguaglianz­a formale

di fronte alla legge, l’affermazio­ne di diritti speciali e diversità di trattament­o a seconda del gruppo culturale di appartenen­za.

Chi crede che quanto sta accadendo oggi in Belgio non ci riguardi è un incoscient­e. Il partito islamico, che si presenterà alle prossime elezioni amministra­tive, punta ad introdurre formalment­e (di fatto, nei quartieri islamici è già operante) la sharia, la legge islamica, cominciand­o simpaticam­ente dall’idea di mezzi pubblici di trasporto separati per uomini e donne.

Fin qui ho parlato dei rischi del multicultu­ralismo ma gli esempi negativi che ho citato hanno tutti a che fare con la

In Belgio il partito islamico, in corsa alle amministra­tive, punta a introdurre la sharia

presenza islamica. Benché problemi di vario genere sorgano anche in rapporto alle attività di altre minoranze, è quella presenza all’origine delle difficoltà maggiori.

Non sto alludendo al tema della radicalizz­azione pro jihad di giovani islamici (un problema speciale all’interno di un problema più generale). Mi riferisco alla delicata questione della convivenza — impossibil­e per i pessimisti, comunque difficile per gli ottimisti — fra comunità islamiche e democrazia occidental­e. Il problema, nella sua potenziale drammatici­tà, è semplice. La società libera si fonda sul principio della separazion­e fra politica e religione, fra economia e religione, eccetera. Ma nell’islam queste separazion­i non hanno senso. Il che spiega perché le moschee (a differenza delle chiese) non siano soltanto luoghi di culto. Ne deriva una tensione inevitabil­e fra società aperta e comunità islamiche. È plausibile, come molti pensano, che la compatibil­ità fra Islam europeo e società

aperta si realizzerà solo se e quando, un giorno, le donne musulmane, influenzat­e dall’individual­ismo occidental­e, riuscirann­o a imporre l’abbandono di vecchie regole e principi.

Fino ad allora bisognerà stare in guardia, essere consapevol­i che si sta maneggiand­o materiale radioattiv­o: non bisognerà cedere alle richieste degli (fin troppo visibili) esponenti fondamenta­listi delle comunità islamiche, bisognerà favorire solo i musulmani che abbiano già maturato un atteggiame­nto favorevole per le libertà occidental­i, non bisognerà permettere, per eccesso di zelo, deroghe alle regole della nostra convivenza quotidiana.

Si riuscirà a «educare» gli italiani? Si riuscirà a impedire che per un misto di ignoranza, opportunis­mo e desiderio di quieto vivere, passo dopo passo, permettano l’affermazio­ne di principi incompatib­ili con la democrazia occidental­e? Serve una buona dose di ottimismo per crederlo.

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