Dal Colle la spinta ai partiti
Oggi, salvo sorprese, il presidente Mattarella darà un ampio mandato al presidente della Camera, Roberto Fico, per dare ai partiti l’ultima spinta. a pagina 2
A Capodanno, presentando il voto del 4 marzo, Sergio Mattarella parlò di una «pagina bianca» che spettava a cittadini e partiti riempire. Cinquanta giorni dopo quell’appuntamento, di pagine ne sono state scritte tante, piene di colpi di scena, duelli, minacce, ma ancora manca l’epilogo. Si ripete così lo schema dei feuilleton, i cosiddetti romanzi d’appendice che nell’ottocento comparivano a puntate sui giornali e che gli stessi autori, mentre lavoravano, spesso non sapevano come avrebbero concluso.
Il paragone non è poi così bislacco, visto che i lettori di allora mandavano lettere alle redazioni chiedendo al narratore di turno di tagliar corto e far vincere l’uno o l’altro eroe con lo stesso carico di aspettative e di passione di cui è oggi investito il capo dello Stato, quando la gente ragiona sul rebus del governo. Con una differenza: non spetta a lui mettere la parola fine al tormentato confronto politico. Lui può solo — ed è comunque moltissimo — indirizzare e facilitare la formazione di una maggioranza e scegliere poi un premier.
Nel tentativo di riuscirci dopo il lungo stallo, a meno di improbabili novità, stamane affiderà un mandato esplorativo al presidente della Camera, Roberto Fico. Un incarico che rispecchierà la missione «mirata» (e poi fallita) della collega del Senato, Elisabetta Alberti Casellati? Sì e no. Infatti, se è vero che per una logica di simmetria istituzionale la verifica di Fico dovrebbe concentrarsi sulla praticabilità di un accordo tra 5 Stelle e Pd, nulla vieta all’esploratore di intercettare «cammin facendo» anche qualche indicazione sul patto tra il Movimento grillino e la Lega (lasciando ormai perdere il resto del centrodestra). Uno scenario che Luigi Di Maio e Matteo Salvini dichiarano di perseguire ancora, contendendosi il palcoscenico della politica mentre Giancarlo Giorgetti e Davide Casaleggio cercano di rilanciare il negoziato nonostante tre insuccessi consecutivi.
Il Quirinale, dunque, lavora (e fa lavorare) a tutto campo perché i partiti escano al più presto dalla palude. Certo a Mattarella non sfuggono le difficoltà di unire due dei tre poli usciti dalle urne ciascuno senza l’autosufficienza parlamentare e per di più fra loro assai lontani per visioni politiche e ambizioni personali. Diversità su cui si starà interrogando pure lui, senza lasciarsi disorientare dalla babele politica e dall’esercizio di lobbing di parecchi giornali.
Prendiamo il caso del capo della Lega. Davvero Salvini, pur di associarsi ai 5 Stelle, è disposto ad accettare un ruolo da junior partner (un po’ come lo ha avuto Alfano con gli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni) in un governo nel quale il suo 17 per cento peserebbe la metà di quanto pesa il socio, lasciandogli pertanto la primazia? Non avrà invece altri obiettivi, il capo leghista? Magari di lucrare su una campagna elettorale permanente, nel calcolo che nessuno riesca a far scattare l’innesco per una maggioranza e che il Colle debba rassegnarsi a sciogliere di nuovo le Camere?
Altro caso, quello del Pd. Finora, obbediente alla linea renziana, si è tenuto in uno sdegnoso Aventino. Ma se fosse chiamato seriamente in causa per un accordo con i 5 Stelle, che farà? Prigioniero della «bella sconfitta» come gli arditi dannunziani lo erano della «bella morte», rinuncerà a prender coscienza di sé e ad assumere la funzione equilibratrice e di garanzia che molti vorrebbero assegnargli? Entro metà settimana l’enigma sarà risolto, ma i mai smentiti dinieghi di Renzi non permettono al momento neppure a Mattarella di vederci chiaro. Qualora anche questo consulto fallisca, non resterà che chiedersi cos’altro potrà separarci dallo sbocco di un governo istituzionale.
I confini Formalmente dovrà partire da M5S e Pd ma nulla vieta di allargare i confini