Il Molise ha votato, in pochi alle urne La sfida tra Movimento e centrodestra
La doppia partita per la leadership con il M5S che punta al primo governatore
CAMPOBASSO La politica li ha corteggiati, blanditi, vezzeggiati, ma i molisani ieri a votare non ci sono andati in massa. Anzi. Soprattutto nei paesini hanno snobbato quello che i partiti volevano utilizzare come un test per acquisire peso specifico nelle consultazioni di governo.
L’affluenza (che alle 23 era del 52,2 rispetto al 71,6 del 4 marzo) si è fermata al di sotto del 71 per cento delle recenti politiche (il dato non è ancora ufficiale), nonostante i leader nazionali (da Luigi Di Maio, a Matteo Salvini, a Silvio Berlusconi, a Giorgia Meloni) che hanno percorso, molti per la prima volta, le strade — a tratti ancora simili a tratturi — di questa regione affascinante ma mai valorizzata, a caccia di voti. Gli elettori invece, complice forse la giornata splendida del primo ponte di primavera, hanno quasi disertato le urne soprattutto nei piccoli centri. Anche a Montefalcone del Sannio in provincia di Campobasso, malgrado tra le scrutatrici ci fosse una finalista di Miss Italia, Rachele Del Borrello.
Malgrado il basso numero di votanti, lo spoglio è andato avanti fino a tarda notte. Lasciando ipotizzare, sulla base delle prime schede scrutinate, un testa a testa fra Cinque Stelle e Centrodestra. Anche se l’astensionismo ha reso ancora più complesso scambiare questo risultato per un tempo supplementare delle elezioni nazionali, i risultati definitivi, che verranno certificati in mattinata, avranno comunque un’influenza sulla doppia sfida in gioco.
Quella del Movimento 5 Stelle, partito più votato alle politiche (qui in Molise con un plebiscito di 44,79% con 78mila voti) chiamato, nella battaglia per Palazzo Chigi, a misurarsi con gli altri «primi» eletti: la coalizione di centrodestra (che qui ha raccolto il 29,81% con 51.981 voti, battendo la coalizione di centrosinistra che ha ottenuto complessivamente il 18,14%, con 31.629 voti, gran parte, il 15,2% andati al Pd).
E intenzionato a dimostrare che il trend positivo non è stato intaccato né dallo stallo delle trattative per il governo, né dalla politica del «doppio forno» che li fa lanciare appelli alla Lega senza escludere un futuro accordo col Pd. Ma soprattutto il derby tra Salvini e Berlusconi per chi debba cedere il passo nelle strategie da seguire nelle consultazioni. Il 4 marzo, in Molise Forza Italia aveva avuto il 16,1% dei voti e la Lega 8,67%.
Ai seggi ieri tutto ciò sembrava molto lontano. La sfida era più tra la voglia della «spallata» ad un sistema «vecchio», identificata con il voto ai Cinque Stelle. E il voto di af-
fetto: quello da dare a un parente, un conoscente, un amico assoldato nell’esercito degli oltre 300 candidati. Solo il centrodestra ne aveva 180, nelle 9 liste presentate a sostegno di Donato Toma. Il centrosinistra altri circa 100 nelle cinque liste a supporto di Carlo Veneziale. Mentre in appoggio di Andrea Greco del M5s e di Agostino Di Giacomo di Casapound c’erano, rispettivamente, una lista e 20 candidati.
Facile incontrare tra quei nomi qualcuno a cui non si può dire di no. «Il cancro di questa regione è sempre stato il clientelismo», spiegava all’uscita del seggio il vescovo di Termoli, Gianfranco De Luca. «Non è voto di scambio — chiariva — È solo quasi una questione di paese. In una regione dove molti, soprattutto menti eccellenti, sono stati costretti ad andare via, è facile per i capi bastone controllare le piccole realtà. A volte anche cambiando referente politico. Così facendo però non viene selezionata una classe dirigente all’altezza di creare uno sviluppo in questa regione che proprio nella sua arretratezza potrebbe trovare il suo tesoro: pensiamo solo ad un turismo di qualità, ma anche all’agricoltura. Ecco perché molti cercano il nuovo».