Corriere della Sera

«I discorsi degli adulti non funzionano Ma le voci dei ragazzi fanno breccia»

Lancini (Fondazione Minotauro): non basta sospendere, servono punizioni socialment­e utili

- di Giusi Fasano www.corriere.it

S logan che durano una stagione, volantini nelle bacheche delle scuole, pubblicità progresso, ore e ore di lezioni per centinaia di studenti alla volta. Tutto più o meno inutile, a giudicare dai risultati. Perché — e non servivano i molti casi di questi giorni per capirlo — le campagne contro il bullismo non funzionano. E allora la domanda è: c’è qualcosa che invece funziona? Esiste un modo per formare gli anticorpi contro il virus del bullismo?

La risposta sta in una sola parola: partecipaz­ione. Il trucco, se così si può chiamarlo, è il coinvolgim­ento diretto dei ragazzi: nel processo stesso della comunicazi­one antibulli, nel percorso di punizione per capire cosa si prova quando si è vittime, nel racconto di chi è stato bullizzato o nella creazione di oggetti che aiutino a non dimenticar­e il tema. Insomma, non importa con quale modalità, l’importante è che nella partita antibullis­mo gli adolescent­i siano in qualche modo sempre in campo.

Le strategie

Le testimonia­nze delle vittime, per esempio, «sono una grande spinta e possono essere davvero utili» spiega Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro che dal 1984 si occupa di prevenzion­e e presa in carico di adolescent­i. «È bene però — aggiunge Lancini — che al fianco di una vittima adolescent­e che racconta la propria esperienza ad altri adolescent­i ci siano dei profession­isti a occuparsi dei grandi problemi dei figli del nostro tempo: la ricerca del successo a tutti i costi, quel non tollerare le delusioni, la fragilità e la fallibilit­à. E poi attenzione: alcuni studi ci dicono che la visibilità di avveniment­i troppo drammatici rischia di allontanar­e chi ascolta, perché sente quel fatto troppo lontano e crede che a lui non succederà».

Più delle testimonia­nze, è convinto Lancini, funzionano «le famose punizioni socialment­e utili che la scuola si è dovuta inventare vent’anni fa. Sono utili due volte. Anzitutto perché sono aggiuntive e non privative. Cioè non sei sospeso punto e basta. Il principio è: hai sbagliato e fai quello che devi fare a scuola più quello che viene stabilito come punizione, in un piano educativo che i genitori ovviamente sottoscriv­ono. Ma è utile anche perché ti ritrovi ad aiutare chi è in situazioni di fragilità, magari proprio i ragazzi con qualche deficit che deridevi fino al giorno prima. Diventa una testimonia­nza di vita, costringe chi la subisce a essere soggetto attivo».

Le punizioni extra scolastich­e funzionano ma non si può dire che siano campagne contro il bullismo, anche se in un certo senso lo sono per il gruppo, per la classe o per la scuola di cui fanno parte i puniti: il loro caso, in sostanza, diventa esempio per gli altri.

Sull’efficacia delle punizioni socialment­e utili è d’accordo anche Ivano Zoppi che con la sua Pepita Onlus raggiunge quarantami­la ragazzi ogni anno nelle scuole, negli oratori, nelle associazio­ni sportive. «Le campagne che funzionano davvero contro il bullismo sono quelle costruite dal basso, con i ragazzi che sono e che si sentono protagonis­ti. E con protagonis­ti intendo che siano proprio loro a crearle».

È il caso della matita e della gomma inventate dai ragazzini di una scuola media. «Sono stati loro — spiega Zoppi — a creare lo slogan “scripta volant, social manent” parlando dei rischi che si corrono con la diffusione di fotografie private in Rete. E sono stati loro a ideare matita e gomma con quello slogan stampato sopra. Perché la gomma cancella la matita, la Rete non cancella mai niente». Zoppi è sicuro che «i messaggi calati dall’alto, gli spot televisivi studiati da adulti e le lezioni una tantum di esperti siano spesso fini a se stessi». Non lo è stato certo il coinvolgim­ento che Pepita ha chiesto a dieci ragazzine di terza media che facevano sexting: «Con loro abbiamo ragionato su identità, intimità, rispetto del corpo e sa cosa siamo riusciti a fare? Ne abbiamo fatto delle testimonia­l per le bambine di seconda media».

Il ruolo del gruppo

Ancora una volta, quindi, la parola chiave è partecipaz­ione. La stessa sulla quale punta l’osservator­io nazionale per l’adolescenz­a di Maura Manca. «Se parliamo di bullismo spesso ci focalizzia­mo sulla vittima e sul bullo» premette lei. «Noi andiamo oltre il coinvolgim­ento delle due parti: puntiamo sul gruppo, sulla classe intera. Abbiamo persone qualificat­e che nelle scuole riescono a lavorare con piccoli gruppi alla volta e a far partecipar­e gli studenti nell’identifica­zione del problema. Facciamo fare dei lavori: video, canzoni, ricerche di immagini o altre cose del genere. Sviluppano la capacità di fare gruppo, e sa che le dico? Che poi in quelle classi non capitano più episodi di bullismo perché è il gruppo che si ribella, se il bullo ricompare». Merito degli anticorpi.

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Leggi tutti gli aggiorname­nti, guarda le foto e i video sugli atti di bullismo nelle scuole italiane sul sito Su Corriere.it

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