Corriere della Sera

Jahantab supera il test allattando Ora una colletta le pagherà gli studi

- Marta Serafini

Ha camminato per dieci ore. In braccio, un bambino di due mesi. A casa, altri due figli e un marito analfabeta. Jahantab Ahmadi, 25 anni, dopo il matrimonio non ha mai smesso di studiare. Durante il giorno si è occupata dei figli e ha aiutato il marito agricoltor­e. Di notte, mentre tutti dormivano, prendeva penne e libri. Ma il diploma del liceo del suo villaggio nella provincia di Daikondi, nel centro dell’afghanista­n, non era sufficient­e per diventare un medico. E così, quando le hanno detto che a Nili si sarebbero tenuti i test di ammissione all’università, il 15 marzo ha preso le sue cose ed è partita.

«Al suo arrivo era stremata, aveva i piedi che sanguinava­no ma era convinta di voler sostenere lo stesso l’esame», hanno raccontato gli insegnanti. Una volta iniziato il test, il bambino ha iniziato a piangere. Così lei si è seduta per terra vicino ai banchi per cullarlo. Uno scatto con lo smartphone, qualcuno l’ha postato su Facebook e in poche ore Jahantab è diventata il simbolo di un Paese dove 2,6 milioni di bambine non hanno ricevuto alcun tipo di istruzione e dove i talebani ancora avvelenano le cisterne d’acqua delle scuole per impedire l’istruzione femminile.

«Ho realizzato un punteggio di 152 su 200, abbastanza per essere ammessa a Medicina e lavorare fuori casa», ha raccontato Jahantab fiera alla tv locale Tolo. «Un giorno voglio tornare nel mio villaggio e cambiare le cose. Ma lo faccio soprattutt­o per i miei figli, in modo che anche loro da grandi non lascino la scuola». A sostenerla anche il marito Musa: «Sono orgoglioso di lei. Io quando vedo un cartello in strada non sono in grado di leggerlo e se vado in farmacia non riesco a capire i nomi delle medicine che mi danno».

Ora Jahantab si trova a Kabul, dove dovrebbe iniziare a breve i suoi corsi in un’università privata. «La stiamo supportand­o e stiamo cercando di tenerla al sicuro», conferma l’attivista Zahra Yagana. E per pagare la retta, l’affitto di una casa per lei, il marito e i figli, è stata avviata una raccolta fondi sostenuta dalla Afghan Youth Associatio­n che con Gofundme ha racimolato l’equivalent­e di 15 mila dollari. «Quando ho visto la sua foto mi sono immediatam­ente attivata, ho chiesto aiuto al governo e siamo riuscite a portarla a Kabul in modo che fosse più protetta».

E mentre per Jahantab inizia un nuovo viaggio, la strada da fare per tutte le altre è ancora lunghissim­a. «Storie come questa non sono importanti solo per il significat­o simbolico. Ci vorranno ancora 50 o 100 anni prima che si possa parlare di diritti femminili in Afghanista­n», spiega al Corriere Malalai Joya, ex deputata afghana che, giovanissi­ma, ha sfidato i signori della guerra del suo Paese e che da ragazza ha insegnato alle bambine nascosta nella sua cantina, rischiando di essere uccisa dai talebani.

«Secondo l’ultimo report delle Nazioni Unite solo un terzo delle ragazze va a scuola, tante si danno fuoco per disperazio­ne, per protesta, per sfuggire alle violenze familiari e ai matrimoni forzati», fa notare Cristina Cattafesta, del Cisda, il centro italiano di sostegno alle donne afghane. E mentre sono ancora tanti i villaggi dove la sharia è legge e gli attacchi terroristi­ci insanguina­no le strade, a fine marzo a Lashkar Gah dopo l’ennesimo attentato le donne sono scese in piazza insieme agli uomini per chiedere la pace. Segno che Jahantab non cammina da sola.

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La foto diventata un caso Sotto, Jahantab Ahmadi, 25 anni, col figlio all’esame d’ammissione all’università, a Nili in Afghanista­n A sinistra, nella sua casa (Foto Ap)
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