Catalano alla Design Week: vivo solo in posti già arredati
Il poeta torinese ha chiuso Casa Corriere dopo aver respirato l’aria del Fuorisalone Innovazione sociale, così si progetta il futuro
«I
l design? È un sostantivo che vuole dire tutto e niente». L’ultima parola è stata quella di un poeta, ironico e satirico, Guido Catalano, autore del best seller «Ogni volta che mi baci muore un nazista», amatissimo dalle lettrici e dai fan di Caterpillar su Radio2, che ha chiuso coi suoi versi e le sue impressioni sul Fuorisalone, l’avventura di Casa Corriere, il contenitore di idee, incontri e racconti condotto da Silvia Botti, Alessandro Cannavò e Francesca Taroni che, al suo primo anno, è stato una delle sorprese più riuscite della Design Week.
Catalano, che sognava di fare la rock star e poi è diventato una stella della poesia, a piedi ha girato Milano, restando impressionato dai cortili antichi del quartiere Cinque Vie, dalla bellezza delle ragazze nella piscina di Floristeria a Lambrate, dall’impegno dell’installazione Stanze Sospese per le carceri del domani, dallo stand delle Cucine Miele simile a un’astronave. «Io che ho sempre vissuto in case già arredate — ha detto ancora Catalano — , magari adesso avrò il coraggio di scegliere da solo i mobili. La mia attuale fidanzata arreda tutto di continuo. Ioho scritto una poesia su di una casa di pongo. Ora vedrò dove andare a vivere».
Sono stati i prezzemolini digitali di Casa Corriere durante la Design Week, a bordo della Eclipse Cross Mitsubishi, gli influencer Elena Braghieri, Riccardo Crenna di Simple Flair e Stefano Cavada a raccontare con i loro post irriverenti, apparsi anche a Sala Buzzati, gli eventi milanesi.
Più che meritata, dunque, la presenza ieri sul palco. I loro oscar sono andati alle installazioni «Club Unseen» di Studiopepe, «A Familiar Place» del duo sardo-californiano Pretziada, mentre un voto tiepido è stato assegnato all’allestimento nei chiostri della Statale.
Il design produce non solo oggetti per migliorare la nostra quotidianità, ma anche strategie di innovazione sociale, iniziative di inclusione che contribuiscono, come si è dibattuto nell’altro incontro di ieri, a rendere la nostra presenza su questa Terra un po’ più felice.
John Thackara, filosofo del design sociale e fondatore di Doors of Perception, ha lanciato il guanto di sfida ai designer. «Quando vuoi agire devi chiederti se tali atti saranno positivi non solo per chi ne trarrà beneficio ma anche per lo stato di salute dei luoghi coinvolti. Artisti e hacker insieme devono aiutare i progettisti e i designer in funzione dell’innovazione sociale».
Serve anche una forte sinergia tra progettisti e cittadini.
Lo ha auspicato Maria Grazia Mattei, Direttrice di Meet The Media Guru, che sta per inaugurare un centro di cultura digitale a Milano: «Il mondo digitale è l’aria che respiriamo. La social innovation ora agisce dal basso, può compiere azioni che attecchiscono nel tessuto sociale, perciò va acquisita quella sensibilità che permette di mettere insieme cittadini e designer per generare cambiamento».
Il design digitale può rendere il mondo meno solo. Ezio Manzini, fondatore di Desis, network sul design per l’innovazione sociale e la sostenibilità, ha fornito alcuni esempi per dimostrare che questo sta già accadendo. «Le onde di innovazione degli ultimi anni legate alla Rete hanno fatto emergere centinaia di idee e soluzioni per il bene della comunità. Ad esempio il progetto Social Street di Bologna nasce da Federico Bastiani che per vincere la solitudine ha creato, tramite Facebook, una rete di persone che si occupa di mutuo aiuto e che in cinque anni si è allagata sino a 450 entità presenti in tutta Italia, oppure la Fondazione Housing Sociale di Milano che si occupa egregiamente di smart communities. La collaborazione digitale può costruire ponti, tra giovani e anziani, residenti e immigrati, ricchi e poveri, può far scoppiare le bolle relazionali e fisiche e connettere solitudini e luoghi».