Il sesto capolavoro texano
In fuga per 20 giri, Rossi lontano: «Mai fatta una gara così solitaria»
C’era solo un modo per evitare sportellate, guerre, polemiche e rappresaglie: correre da solo, senza nessuno intorno. È quello che ha fatto ieri Marc Marquez a Austin, un luogo che lo rende più soprannaturale del solito grazie a un tracciato che sembra essersi disegnato da sé. Al via MM ha lasciato sfogare qualche curva Iannone, poi lo ha infilato di giustezza ed è partito in fuga per venti giri verso la sesta vittoria texana in sei edizioni, il solito cappello da cowboy sulla testa e il prepotente rientro nella corsa per il titolo, secondo ora a un punto da Dovizioso, quinto dietro Viñales, Iannone e Rossi
«In Europa la Ducati tornerà a fare paura», ha detto Marquez alla fine. Ieri però, come previsto, quello spaventoso è stato lui. Magnifico, in controllo, dominante e con le idee chiare. «Dopo l’argentina non avevo fiducia per battagliare: sono umano anch’io. Così ho pensato a una sola strategia: partire bene e poi spingere». Lo ha fatto talmente bene da stupire pure se stesso: «Non ho mai corso una gara così da solo». E l’unico possibile rischio — la partenza in seconda fila a fianco di Rossi, potenziale scintilla di un big bang — l’ha disinneclassifica Imprendibile Marc Marquez in azione nel Gp delle Americhe. Alle sue spalle Andrea Iannone, poi terzo
(Ap) scato svicolando in fretta nel traffico e evitando ogni contatto, almeno per stavolta.
Lo show di Marquez — che quando è così bello, unico e potente ti fa domandare perché certe volte debba perdersi nelle miserie della guerra di cortile — comunque non cancella altre belle performance. Notevolissima è stata quella di Viñales, che è tornato ad essere il lampo di inizio 2017: in adesso Maverick è terzo e, se raggiungerà l’agognata continuità di rendimento, sarà ovviamente un candidato al titolo. Splendida poi è stata quella di Andrea Iannone, che conquista il primo podio con la Suzuki al 21° tentativo e conclude la sua avventura americana in lacrime, fra rabbia, commozione e una certa esagerazione: «È stato difficile essere Iannone in questi mesi. Ho dovuto sentire tante critiche ma ho reagito e sono stato più forte delle voci che mi hanno sputato addosso». Anche lui come Viñales, però, dovrà adesso imparare a essere continuo.
Meno luccicanti, ma comunque solidi, Rossi e Dovizioso. Valentino, dopo lo zero provocato da Marquez a Termas, si incarta ai piedi del podio senza guizzi degni del suo nome e, soprattutto, incassa 6 secondi di distacco dal compagno, che non è mai una buona cosa. «Stiamo lavorando», dice per lui il gran capo Yamaha Lin Jarvis, ma certo il momento per il Dottore è complesso, anche se la classifica resta maneggevole.
Il Dovi invece, come sempre, strappa il meglio possibile da una corsa complicata. Il filotto Argentina-texas per lui e la Desmo era tecnicamente problematico e avere limitato i danni è un buon risultato. «Tornare in Europa da leader non è male soprattutto rispetto a come stavamo male nel 2017», dice, salvo poi riproporre un vecchio refrain: «Ho paura che questo rendimento non basti per giocarci il campionato: serve essere più continui su tutte le piste».
La costanza, è chiaro, è il Santo Graal che tutti i big stanno ancora cercando, purché non sia quella in negativo di Lorenzo. Il suo undicesimo posto già di per sé è tremendo. Averle prese pure dalle Ducati clienti di Rabat e Miller rende più dark il disastro. Tra Jorge e Dovizioso oggi ci sono 10 milioni di differenza nell’ingaggio e 40 punti di distacco in classifica: a questo punto, se c’è una logica, la sua storia con la Rossa dovrebbe dirsi finita. Sempre che sia mai iniziata.
Soddisfatti
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