Al volante del «super suv» Urus La potenza in stile Lamborghini
Il gioiello italiano mantiene la sportività del marchio ma può affrontare ogni terreno Domenicali: «Stiamo conquistando nuovi clienti» Strada, pista, sterrati: il test del nuovo bolide di Sant’agata Bolognese
ROMA Buttare giù da una discesa sterrata a quasi 100 all’ora un «Super Suv» (lo definiscono così) da oltre 2,2 tonnellate e imboccare una curva coperta di sabbia fine come il talco è già, e di molto, fuori dell’ordinario. Ma uscirne indenni, dando gas senza remore, provocando un sovrasterzo tanto naturale quanto controllabile lo, non è meno stupefacente. Anche se in teoria prevedibile, visto che quel portento di motore da 650 cavalli che ti scalcia tra le mani si nasconde sotto un enorme cofano su cui campeggia il toro della Lamborghini. Un simbolo che da oggi, pur conservando intatto il Dna supersportivo, assume una valenza tutta nuova: la rivoluzione si chiama Urus, oltre cinque metri di Suv. Il Suv, questo è un dato di fatto, più sportivo e veloce al mondo.
«Un progetto ambizioso e complesso. Un prodotto straordinario che ci sta facendo conquistare clienti nuovi (il 68 per cento di chi l’ha ordinato a scatola chiusa non aveva mai avuto una Lamborghini) e ci permetterà di entrare in nuovi mercati»: parole del presidente e amministratore delegato Stefano Domenicali, che, con il direttore ricerca e sviluppo Maurizio Reggiani, descrive — con l’entusiasmo di un bambino — le doti della nuova supercar nata a Sant’agata Bolognese. Del resto siamo davvero a una svolta epocale: l’azienda punta a raddoppiare la produzione in tempi record e la leva per compiere questo balzo è proprio il «Super Suv».
Velocissima, come da tradizione Lamborghini. Sportiva, nel senso più puro del termine. Eppure anche sorprendentemente spaziosa e versatile questa Urus. A sorpresa, questa «belva» da strada e da sterrati ti permette, nell’ordine: di macinare migliaia di chilometri in autostrada, con l’andatura e il confort di un’ammiraglia di altissimo rango; di aggredire i cordoli di un circuito (come quello tecnico e veloce di Vallelunga, su cui si è svolto parte del nostro test) con la compostezza e l’efficacia che quasi tutte le cosiddette sportive neppure si sognano; di tornare su strada, per divertirsi tra le curve di un percorso misto come se si fosse al volante di una Gt compatta; di, infine, affrontare un percorso non asfaltato, che simula tutte le situazioni critiche, dalla neve alle dune, dislivelli compresi. Un’auto che ti fa sentire invincibile. E non solo perché è fulminea (passa da 0 a 100 orari in poco più di 3,5 secondi; arriva a 305 orari: sono valori dichiarati), ma anche perché, oltre a poter contare su tutti i più moderni sistemi di assistenza alla guida — dal mantenimento di corsia all’anticollisione, passando per la frenata automatica di emergenza e il traffic jam assistant —, riesce a farti fare tutto con un piglio e una facilità sbalorditivi.
Merito di raffinatezze tecniche quali la trazione integrale con torque vectoring attivo e quattro ruote sterzanti. E dei freni carboceramici più grandi dell’intera produzione mondiale: 440 millimetri all’anteriore, con pinze a dieci pistoni. E delle sospensioni adattive pneumatiche, con barre antirollio attive «scollegabili» per il fuoristrada.
Tutti elementi il cui carattere — insieme a quello del motore, dello sterzo e del cambio, automatico a otto rapporti — e modalità di interazione vengono gestiti dal «Tamburo», scenografico complesso di controlli rotativi che ricordano quelli dei caccia da combattimento. Grazi al «Tamburo», chi guida sceglie quale «anima» dare alla sua Urus. Perché lei di anime ne ha almeno sei. Diverse una dall’altra. Ma tutte ugualmente affascinanti.