Web tax italiana a rischio, non c’è il decreto
Tajani: una disciplina forte per regolare i rapporti con i grandi della Rete
Malgrado sia praticamente scaduto BRUXELLES il tempo per rendere attuativo il decreto sulla web tax italiana, inserita nella scorsa legge di bilancio come imposta del 3% sul fatturato (c’è tempo fino a lunedì, ma il Mef sembra voler aspettare a questo punto un nuovo esecutivo), da Bruxelles è arrivato ieri il richiamo del presidente dell’europarlamento, Antonio Tajani, che ha incluso il progetto per una tassazione europea sulle piattaforme sviluppate dai giganti del web nella nuova strategia Ue sul digitale a fianco di un investimento di 20 miliardi di euro sull’intelligenza artificiale da qui al 2020 e all’impegno di inserire nel prossimo bilancio europeo un capitolo dedicato alla digitalizzazione dell’economia leggi quantum computing, robotica, ecommerce,
nuove piattaforme editoriali per rispondere all’assalto commerciale dei trust statunitensi e cinesi. Sul tavolo il ruolo stesso di un Continente alla ricerca di una via «alternativa, possibile ed etica» alla trasformazione economico-sociale impressa dagli ultra-unicorni della Silicon Valley come Google e Facebook e dai colossi cinesi come Tencent e Alibaba. Lo spartiacque fra un prima attendista e un dopo ancora da costruire con una regolamentazione «chiara e solida» che «non consegni i nostri concittadini allo stato di natura» dell’ultraliberismo è, ovviamente, la vicenda Cambridge Analytica. «Tre anni fa - ha proseguito - la direttiva Gdpr sulla protezione dei dati veniva vista con scetticismo, oggi è il benchmark globale». Per Tajani, insomma, serve «una disciplina sufficientemente forte da normare i rapporti fra i giganti delle piattaforme web (Amazon, in primis, ndr) e le imprese che creano lavoro sui territori». Sfida non facile, dato che un atteggiamento eccessivamente regolatorio rischia di allontanare dall’europa investitori e occasioni di business.