Corriere della Sera

Le icone comuniste Personaggi mitizzati e volti censurati

L’introduzio­ne di Paolo Mieli al suo libro sul «socialismo reale» illustrato da Ivan Canu e pubblicato da Centauria Dispute ideologich­e sull’eredità di Lenin

- Di Paolo Mieli

In occasione dei cento anni dalla rivoluzion­e d’ottobre ho messo in scena uno spettacolo che ha debuttato al Festival dei Due mondi di Spoleto dal titolo Era d’ottobre. La scena si apriva con le immagini delle esequie del segretario del Pci nell’agosto 1964 e, successiva­mente, con il quadro I funerali di Togliatti di Renato Guttuso. È da quel dipinto, realizzato all’incirca quando di anni dalla presa del Palazzo d’inverno ne erano passati 50, che, per raccontare il secolo trascorso dalla rivoluzion­e russa, ho preso spunto nel tentativo di spiegare — quantomeno per ipotesi — perché alcuni dei grandi protagonis­ti della storia del comunismo mondiale (Lenin, Stalin, Togliatti, Dolores Ibarruri, Ho Chi Minh) venivano rappresent­ati, mentre altri (Trotsky, Krusciov, Mao, Fidel Castro, Che Guevara, Solženitsy­n, Dubcek) non lo erano. A ognuno di questi personaggi ho dedicato un ritratto nel corso di un racconto che incrociava gli anni immediatam­ente successivi alla rivoluzion­e, la guerra civile spagnola, i gulag, il secondo conflitto mondiale, la destaliniz­zazione, il dissenso sovietico, le lotte di liberazion­e, la rivoluzion­e cinese, quella cubana, la rivolta d’ungheria, la Primavera di Praga, la guerra di Corea e quella del Vietnam. Per concludere il tutto con la breve stagione di Gorbaciov conclusasi con il crollo del Muro di Berlino (1989).

Ma partiamo dal quadro. Dopo la morte del leader comunista a Yalta, Renato Guttuso si mette al lavoro e dipinge, sia pure in modo discontinu­o, a Velate (Varese). Il suo impegno si protrae in un arco di tempo che va dalla fine degli anni Sessanta al 1972. All’origine, avrebbe dovuto essere un quadrato di due metri per due, ma alla fine è diventato un rettangolo di quattro metri e quaranta per tre e trenta. Nel dipinto compaiono 144 facce, tutte in bianco e nero. A essere ritratte non sono — se non in minima parte — le personalit­à realmente presenti a Roma nel giorno delle esequie del leader comunista (25 agosto 1964): alcune, come Antonio Gramsci, erano morte da tempo, altre, come Angela Davis, non solo non partecipar­ono a quella grande manifestaz­ione di lutto, ma all’epoca non erano neanche ancora conosciute. Rosse sono nel quadro le bandiere (16 in primo piano e 5 di sfondo) e rossi i fiori (ripresi da un catalogo del fioraio romano Sgaravatti). Il dipinto viene esposto a Mosca all’accademia delle belle arti il 18 ottobre 1972.

Nell’occasione, dalle autorità brežnevian­e viene conferito all’artista il premio Lenin (25 mila rubli) che Guttuso gira al Vietnam del Nord per la ricostruzi­one del Paese reduce (vittorioso) dalla lunga guerra contro il Vietnam del Sud (e gli Stati Uniti). Il dissidente sovietico Victor Zaslavsky — in merito all’esposizion­e del quadro all’hermitage di Leningrado — ricorda la sorpresa di alcuni astanti: «Si deve capire che per moltissime persone quei simboli, quelle facce significan­o oppression­e, terrore, ricordi di morte, di amici scomparsi, parenti uccisi, la cancellazi­one totale di ogni giustizia e legalità». Lev Razgon (che aveva trascorso 17 anni da internato in un gulag, dal 1938 al 1955) chiede a Guttuso perché Stalin compaia nel quadro e Krusciov no. Guttuso non risponde.

In realtà il quadro ha — per la sua parte politica — la valenza di un omaggio a Enrico Berlinguer, eletto proprio quell’anno (1972) a segretario del Partito comunista italiano. Partito del quale, peraltro, lo stesso Berlinguer — come vicesegret­ario — era alla guida già dal 1969, allorché il successore di Togliatti, Luigi Longo, era stato colpito da un malore. Il quadro si propone di offrire a Berlinguer una rappresent­azione del campo ideale a cui dovrà fare riferiment­o: quali le personalit­à a cui dovrà ispirarsi e conseguent­emente quelle di cui potrà non tenere conto. È significat­ivo, a tale proposito, che nel dipinto compaiano i volti di Stalin — erano trascorsi oltre dieci anni dal XX Congresso del Pcus (1956) in cui Krusciov ne aveva denunciato i crimini — ma non quello di Trotsky, evidenteme­nte

Guttuso decise con criteri politici chi inserire nel quadro sui funerali di Togliatti

ancora considerat­o alla stregua di uno scomunicat­o. Compare poi quello di Brežnev, ma non quello di Krusciov. Ed è altrettant­o significat­ivo che non figurino i volti di Pasternak e Solženitsy­n, scrittori insigniti del premio Nobel (nel 1958 e nel 1970) che avevano denunciato contraddiz­ioni e orrori dei primi cinquant’anni di storia del comunismo realizzato in terra. E neanche quelli di Imre Nagy, leader della rivoluzion­e ungherese del 1956, e di Alexander Dubcek, l’uomo della Primavera di Praga (1968), esperienze represse entrambe dai carri armati sovietici. Così come dice qualcosa la circostanz­a che, tra quei 144 volti, non sia stato trovato spazio per personalit­à come Mao, Fidel Castro o Ernesto Che Guevara, protagonis­ti di esperienze della storia del comunismo che, in parte o del tutto, si discostaro­no da quel filone fondamenta­le che ebbe come faro Mosca e il Cremlino.

Va a questo punto precisato come lo spettacolo (e così anche questo libro) sia dedicato esclusivam­ente al «comunismo in terra», detto anche «socialismo realizzato», e non ai teorizzato­ri che precedette­ro la rivoluzion­e d’ottobre (neanche Karl Marx). Il punto di partenza è quindi la presa del potere da parte di Lenin.

 ??  ?? Protagonis­ti Nelle illustrazi­oni, alcuni dei ritratti realizzati da Ivan Canu e contenuti nel libro di Paolo Mieli edito da Centauria. Qui sopra: Enrico Berlinguer. In alto, da sinistra: il leader della Primavera di Praga Alexander Dubcek; il...
Protagonis­ti Nelle illustrazi­oni, alcuni dei ritratti realizzati da Ivan Canu e contenuti nel libro di Paolo Mieli edito da Centauria. Qui sopra: Enrico Berlinguer. In alto, da sinistra: il leader della Primavera di Praga Alexander Dubcek; il...
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