Addio Abbas, l’occhio sulle svolte del Novecento
Iraniano naturalizzato francese, era una delle figure di punta dell’agenzia Magnum. Aveva 74 anni
Univa le parole alle immagini per raccontare il mondo, Abbas Attar (si firmava solo Abbas), fotografo iraniano scomparso ieri a Parigi a 74 anni, dal 1981 uno dei membri di punta della Magnum. È stata l’agenzia a dare ieri ha notizia della sua morte definendolo «il fotografo che scrive con la luce».
Una vita dedicata alla fotografia, quella di Abbas che con le sue immagini spesso iconiche ha raccontato la fame, le carestie, le guerre e le rivoluzioni nel mondo. Trapiantato a Parigi, Abbas inizia a fotografare giovanissimo con il sogno di raccontare il Vietnam. Ci riuscirà a 28 anni. Dal 1978 al 1980, si occupa della rivoluzione in Iran prima di andare in esilio volontario e spostare il suo obiettivo in Messico che cerca di raccontare come fosse un romanzo. Il libro Allah O Akbar (Phaidon, 1994) mostra le tensioni nelle società musulmane, anticipando fenomeni che sarebbero esplosi negli anni successivi. L’interesse per l’islam lo condurrà al grande progetto sulle religioni, cuore del suo lavoro: le ricerche su cristianesimo, buddhismo e induismo diventeranno altrettanti libri. Il suo ultimo lavoro sul «mondo islamico dopo l’11 settembre» è del 2009 ed è il frutto di un viaggio in 16 Paesi durato 7 anni. Da qualche tempo aveva abbandonato i grandi progetti pur sostenendo che la Cina fosse il Paese in cui sarebbe voluto andare per raccontare il cambiamento più interessante.
Restano le sue parole: «La mia fotografia è una riflessione che prende vita e conduce alla meditazione». Una lezione.