Corriere della Sera

«Pregate, sono in missione» L’arrivo dalla Libia in barcone poi l’ordine di travolgere la folla

Le istruzioni sull’uso dell’auto e il compenso di 1.500 euro Quattro filmati su Telegram È caccia ai complici all’estero

- dalla nostra inviata Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

NAPOLI «Non dimenticar­e di pregare per me. Sono in missione. Ho bisogno delle vostre preghiere». È la notte del 13 aprile scorso, Alagie Touray manda questo messaggio a un amico che si trova in Gambia. Il video con il giuramento di fedeltà al Califfato è stato registrato e diffuso via Telegram «ad una serie di destinatar­i» due giorni prima. Per l’intelligen­ce e l’antiterror­ismo lo straniero ventiduenn­e in attesa dello status di rifugiato, era ormai pronto all’azione. Pedina di una «rete» internazio­nale che dalla Libia passa per l’italia e ha diramazion­i in Francia e Spagna.

Le ricerche dei possibili complici sono tuttora in corso, compreso un senegalese che si sarebbe trasferito proprio in Francia. I dettagli contenuti nell’ordinanza del giudice di Napoli ricostruis­cono il viaggio di Touray e le ultime mosse fino a quello che avrebbe dovuto essere l’atto finale: «Un’auto contro la folla in cambio di 1.500 euro».

Il viaggio sul barcone

Touray arriva al porto di Messina il 22 marzo 2017 e viene «trasferito presso l’hotel Circe di Pozzuoli con altri due connaziona­li». I controlli effettuati in questi giorni hanno consentito di verificare che era partito dal Gambia e per un periodo è stato nel campo profughi libico di Sabrata in attesa del barcone per l’italia. Il «15 maggio 2017 presenta richiesta di protezione internazio­nale e l’8 gennaio scorso ottiene un permesso di soggiorno provvisori­o dall’ufficio Immigrazio­ne di Napoli con scadenza 7 luglio 2018».

Agli inizi della scorsa settimana, gli 007 spagnoli avvisano l’aise (l’agenzia per la sicurezza estera) di aver rintraccia­to un messaggio di fedeltà all’isis partito da un telefono che si trova in Italia. L’esito delle prime verifiche viene trasmesso al direttore della polizia di prevenzion­e Lamberto Giannini e al comandante dei carabinier­i del Ros Pasquale Angelosant­o. Alle 14.43 del 20 aprile il giovane viene catturato davanti alla moschea di Pozzuoli.

I quattro video

Nel suo cellulare vengono trovati quattro filmati «girati il 10 aprile scorso, presenti in una cartella di condivisio­ne creata sull’applicazio­ne Telegram». In realtà tre sono prove, la versione definitiva è nel quarto video nel quale, come sottolinea il giudice, «recita la formula completa: “Giuro fedeltà per il califfo di tutti i musulmani Abu Bakr Al Qouraci Al Baghdadi e di ascoltarlo e ubbidirlo, nel facile e nel difficile, nel mese di Rajab giorno 2 oggi lunedì. E Dio è testimone di quello che dico”».

Esattament­e quello che Anis Amri fece nel dicembre 2016 prima di lanciarsi contro la folla in un mercatino a Berlino. Nella stanza dell’hotel che lo ospita con gli altri migranti vengono sequestrat­i «la fotocopia del permesso di soggiorno con l’annotazion­e sul retro di scritte a penna in lingua inglese, nominativi arabi e una utenza cellulare; alcuni quaderni con annotazion­i in italiano e lingua straniera». Gli investigat­ori accertano che «gli scritti sono Hadith, racconti che rappresent­ano fonte della legge islamica come il Corano e la Sharia». Scoprono anche che «Touray ha la “zebiba”, il segno sulla fronte simbolo di fervente religiosit­à prodotto dal prolungato urto della fronte sul pavimento durante la preghiera».

L’ordine dalla Libia

Dopo il fermo il giovane viene interrogat­o e assicura che era tutto uno scherzo. Ma il giorno dopo cambia versione e ammette: «Mi hanno chiesto di prendere una macchina e investire delle persone e mi avrebbero mandato dei soldi. Loro non credevano che avrei commesso l’azione e per questo non mi hanno mandato i soldi. Io non so guidare. Gli ordini mi sono arrivati via Telegram».

Nell’ordinanza il giudice ricostruis­ce l’interrogat­orio: «Touray racconta che Batch Jobe, l’amico che si trova in Gambia e al quale aveva chiesto di pregare per lui, gli aveva dato un’utenza libica da chiamare in caso di emergenza. Aveva chiamato quel numero circa un mese fa e l’interlocut­ore gli aveva chiesto di realizzare il video e poi avrebbe preso i 1.500 euro. Specifica che proprio quella persona gli ha chiesto di prendere una macchina e andare addosso alle persone. Ma chiarisce che non avrebbe mai accettato di uccidere nessuno e che aveva detto sì solo per prendere i soldi. Dice che ha registrato quattro video perché il soggetto con cui era entrato in contatto gli aveva contestato che non sembrava vero e lo aveva rifatto».

d Racconta che Batch, l’amico in Gambia al quale chiese di pregare per lui, gli aveva dato un’utenza libica da chiamare in caso di emergenza

d Loro non credevano che avrei commesso l’azione e per questo motivo non mi hanno mai mandato i soldi, io tra l’altro non so guidare

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(Ansa) I luoghi A sinistra, l’hotel Circe, trasformat­o in centro di accoglienz­a, dove risiedeva Touray; a destra l’esterno della moschea di Pozzuoli, dove venerdì scorso è stato fermato da un blitz di carabinier­i del Ros e agenti della Digos
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