Quei lavoretti a vantaggio di pochi
Mentre dalla Gran Bretagna arrivano (in controtendenza rispetto all’italia) le prime sentenze favorevoli ai lavoratori della gig economy, si materializzano segnali di un cambiamento di clima anche nelle imprese. Aziende come la DPD (trasporto merci) hanno dato ai loro «prestatori d’opera» l’opzione tra continuare ad operare come freelance a tariffa piena ma senza alcuna copertura contributiva, oppure dichiararsi dipendenti dell’azienda ottenendo le relative coperture assistenziali, ricevendo, però, anche uno stipendio ridotto. Dall’altra parte del mondo, a Singapore, intanto, si consolida Blue Whale: una fondazione con ramificazioni a San Francisco, Seul e Zurigo che punta a creare reti di protezione sociale per chi, nell’economia della condivisione, condivide soprattutto redditi miseri e sofferenze. Certo, si tratta di piccoli passi: le risorse messe in campo da Blue Whale, ad esempio, vengono dagli stessi lavoratori, non dalle startup ormai diventate società miliardarie. E tuttavia il clima nei confronti della Silicon Valley è cambiato nell’ultimo anno non solo per quanto riguarda gli abusi delle reti sociali nel rastrellare, rielaborare e vendere dati personali degli utenti (come nel caso Facebook), ma anche sul fronte dei cosiddetti lavoretti. Se quest’anno la festa del Lavoro, il primo maggio, verrà celebrata in un clima di fine delle illusioni lo si dovrà anche a chi — come Riccardo Staglianò, autore di un saggio intitolato proprio Lavoretti, pubblicato di recente da Einaudi — ha analizzato in profondità i meccanismi che, come dice lui stesso, hanno trasformato un nuovo modello economico che avrebbe dovuto garantire più libertà e uguaglianza a chi lavora in una nuova forma di feudalesimo: da un lato i proprietari di piattaforme come Uber, Airbnb o Deliveroo che diventano miliardari, dall’altro i «liberi professionisti» al loro servizio che hanno una sola libertà: quella di scegliere se tornare la sera a casa in una periferia lontanissima o dormire in auto in un parcheggio vicino al posto dove si lavora. Certo, la gig economy, flessibile e vantaggiosa per chi ottiene un servizio, a volte, pur con le sue carenze, può avere la sua utilità per i giovani che muovono i primi passi nel mondo del lavoro. Ma anche qui Staglianò invita a evitare facili illusioni: «Nell’attesa che diventi il futuro dei giovani, la gig economy è già il presente dei vecchi». Almeno negli Usa dove gli anziani bisognosi di integrare pensioni troppo magre hanno sopravanzato i giovani nella caccia al lavoretto.