Corriere della Sera

Quell’attesa riscossa del brandy nazionale

- di Marco Cremonesi

Sarà, forse, che il nostro vino noi ingordi italiani ce lo beviamo tutto. Oppure, chissà, soffriamo di complesso di inferiorit­à rispetto alle tradizioni più consolidat­e. Fatto sta che, dalle nostre parti, i distillati di vino, i brandy che all’estero continuano a macinare quote di mercato, sono da molto tempo rimasti nell’ombra. Certo, la Vecchia Romagna si trova quasi dappertutt­o. E lo stesso vale per lo Stravecchi­o della Branca, che matura nella imponente Botte Madre, una delle più vecchie d’europa. Oppure, lo Stock 84. A partire dagli anni Settanta, il brandy in Italia è quasi residuale, non attrezzato a competere con i gloriosi cognac e armagnac o i potenti distillati di Spagna. Ovviamente disincenti­vato da una normativa che non aiuta la qualità ad essere riconoscib­ile. E così, con l’eccezione importante di Villa Zarri, i brandy italiani o non ci sono o faticano ad avere visibilità. Anche per questo, l’acquavite di vino dei Trentini Pojer e Sandri è una bellissima sorpresa. Tutta profumo e grazia aromatica, è adatta a chi voglia addentrars­i nel mondo ricco dei brandy. Tra l’altro, che io sappia, Pojer e Sandri sono gli unici in Italia a controllar­e l’intero ciclo, dalla vigna alla bottiglia. I vini di Schiava e Lagarino sono distillati separatame­nte, meditano poi per 10 anni in botti da 225 litri. Io ho provato la loro Acquavite grazie a Thomas Pennazzi, gran maestro di ogni brandy sotto il sole a partire dal cognac, blogger di Intravino e in proprio (cognac e cotognata): noi attendiamo che si metta alla testa della riscossa del brandy nazionale.

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