Quell’attesa riscossa del brandy nazionale
Sarà, forse, che il nostro vino noi ingordi italiani ce lo beviamo tutto. Oppure, chissà, soffriamo di complesso di inferiorità rispetto alle tradizioni più consolidate. Fatto sta che, dalle nostre parti, i distillati di vino, i brandy che all’estero continuano a macinare quote di mercato, sono da molto tempo rimasti nell’ombra. Certo, la Vecchia Romagna si trova quasi dappertutto. E lo stesso vale per lo Stravecchio della Branca, che matura nella imponente Botte Madre, una delle più vecchie d’europa. Oppure, lo Stock 84. A partire dagli anni Settanta, il brandy in Italia è quasi residuale, non attrezzato a competere con i gloriosi cognac e armagnac o i potenti distillati di Spagna. Ovviamente disincentivato da una normativa che non aiuta la qualità ad essere riconoscibile. E così, con l’eccezione importante di Villa Zarri, i brandy italiani o non ci sono o faticano ad avere visibilità. Anche per questo, l’acquavite di vino dei Trentini Pojer e Sandri è una bellissima sorpresa. Tutta profumo e grazia aromatica, è adatta a chi voglia addentrarsi nel mondo ricco dei brandy. Tra l’altro, che io sappia, Pojer e Sandri sono gli unici in Italia a controllare l’intero ciclo, dalla vigna alla bottiglia. I vini di Schiava e Lagarino sono distillati separatamente, meditano poi per 10 anni in botti da 225 litri. Io ho provato la loro Acquavite grazie a Thomas Pennazzi, gran maestro di ogni brandy sotto il sole a partire dal cognac, blogger di Intravino e in proprio (cognac e cotognata): noi attendiamo che si metta alla testa della riscossa del brandy nazionale.
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