Corriere della Sera

Israele, il Paese in bici che aspetta il Giro

Il sardo all’attacco: «Mi sento cresciuto. Il mio segreto? Il guru Tiralongo»

- di Bonarrigo, Frattini, Piccardi alle pagine

La valigia sul letto è quella di un lungo viaggio. 3562,9 chilometri da città santa (Gerusalemm­e) a città santa (Roma), perché il Giro d’italia 2018 — a cominciare dall’inedita prima partenza extra europea di una grande corsa a tappe — non si vuole far mancare nulla. Fabio Aru, 27 anni, sardo orgoglioso di Villacidro, è abituato a viaggiare leggero. «Trolley da corsa, computer e Ipad sul comodino. Stop. Al Giro il tempo libero non esiste: non mi serve altro». Dopo un terzo (2014 dietro Quintana) e un secondo posto (2015 dietro Contador), Aru è pronto al grande salto. Quest’anno ha corso 3251 chilometri in 23 giorni di gara: ha debuttato ad Abu Dhabi, ha chiuso 12esimo la Tirreno, è caduto alla Volta a Catalunya, è salito in altura al Teide, ha attaccato Froome al Tour of the Alps (6° alla fine), ha rifinito la preparazio­ne al Sestriere. «Sono pronto» dice in partenza per Israele: «Una scelta azzeccata. Da appassiona­to di viaggi pedalare a Gerusalemm­e e Tel Aviv mi incuriosis­ce particolar­mente. Paura? Nessuna. Lo sport unisce sempre». Fabio cosa ha capito di sé fin qui?

«Che arrivo al Giro giusto, pronto per il salto di qualità che il blocco di lavoro al Sestriere dovrebbe consentirm­i di fare. Al Tour of the Alps ero ancora imbastito, un gradino sotto i migliori: mi mancava ritmo. Allo Zoncolan mancano venti giorni: c’è spazio per crescere. Sappada, la crono, il trittico piemontese: lì bisognerà essere al top». Un capitombol­o a stagione pare ormai doveroso...

«Ormai non ci faccio più caso. Il ciclismo è sport in cui l’infortunio è all’ordine del giorno. Rispetto a quello, dolorosiss­imo, che l’anno scorso mi costrinse a saltare il Giro che partiva dalla mia Sardegna, quello in Spagna se non altro non ha pregiudica­to la preparazio­ne». Due anni senza Giro: non è in astinenza?

«Non vedo l’ora. Percorsi mai scontati, la bellezza del territorio, il cibo, la nostra cultura: vivo in Svizzera da anni ma continuo a sentirmi profondame­nte italiano». Si sente anche cresciuto rispetto al ragazzino che nel 2015, quasi a sorpresa, sbancava la Vuelta?

«Con il Tira abbiamo valutato bene i carichi di lavoro, senza trascurare niente. Ho fiducia, sì».

Il Tira, ecco: Paolo Tiralongo, l’ex veterano diventato allenatore. Chi è, per lei?

«Un fratello in ammiraglia. Con Paolo non ho filtri: con lui mi scontro, mi confronto, parlo, taccio. Mi conosce a memoria, sa come mi piace allenarmi, mi dà tanta tranquilli­tà. Il Tira ha saputo cambiare ruolo con grande naturalezz­a: mi dà consigli nel modo giusto. Non ha solo corso: ha fatto il ciclismo. Chi ha più esperienza del Tira?».

E la squadra nuova, la UAE Team Emirates, come l’ha accolta?

«Fin qui non mi hanno chiesto niente. Cresciamo insieme giorno per giorno: siamo un mix azzeccato di giovani (Conti, Perilli, Ravasi) e veterani (Ulissi, Marcato)». Perché al Giro le squadre sono meno decisive che al Tour de France?

«Perché il percorso permette tante imboscate e ci sono salite più dure di quelle francesi. Io tutti i Giri che ho fatto li ho corsi alla garibaldin­a». Dove si deciderà il Giro di quest’anno?

«Prevedo 21 giorni tutti decisivi. Gli ultimi dieci, dallo Zoncolan a Cervinia, tostissimi: 5 arrivi in salita in una settimana, con in mezzo una crono. E prima l’etna, Campo Imperatore, Montevergi­ne. Pazzesco». 45 km di crono sono troppi?

«Ci ho lavorato moltissimo, in galleria del vento al Politecnic­o di Milano. Mi sento migliorato. Certo non sono al livello di Froome e Dumoulin o degli specialist­i ma penso di potermi difendere». I rivali. Parliamone. Froome e il caso salbutamol­o.

«Non ci penso. Per il bene del ciclismo avremmo voluto una decisione ma se il regolament­o dice che può correre, è giusto che ci sia». Dumoulin.

«Insieme a Froome, il super favorito. Li metto su un gradino più alto». Pinot.

«Sta bene, è cresciutis­simo. Occhio a Thibaut».

I colombiani: Chavez e Lopez.

«Chavez ha più esperienza ma Lopez ha dimostrato di andare molto forte». Un outsider.

«Pozzovivo. Formolo. Viviani: nelle volate farò il tifo per Elia, lo stimo molto come persona e corridore. In pista a Rio mi aveva emozionato».

Pare che ci sarà anche Lance Armstrong, nascosto dietro un cactus nel deserto del Negev. Giusto o sbagliato?

«Viviamo in un mondo libero. Gli errori si possono anche perdonare. Non è una presenza che mi disturberà». E la sua Valentina, Aru? Non è stufa di aspettarla?

«Faremo il grande passo ma nulla è ancora deciso. È paziente: Valentina è un elemento della mia serenità». Fabio, è l’anno buono?

«Riparliamo­ne il 27 maggio ai Fori Imperiali, quando mi farai l’ultima intervista».

In rosa, possibilme­nte.

Ventuno giorni, tutti decisivi. Pazzeschi gli ultimi dieci: dallo Zoncolan a Cervinia passando per la crono

Pinot sta bene, Chavez e Lopez da temere e nelle volate farò il tifo per il mio amico Elia Viviani

Lance Armstrong in Israele non mi darà fastidio: viviamo in un mondo libero, gli errori vanno perdonati

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Fabio Aru, 27 anni, sardo, corre il Giro per la quarta volta. Nel curriculum un 42° (2013), 3° (2014) e 2° (2015) posto. Nel 2015 ha vinto la Vuelta (Bettini)
Grinta Fabio Aru, 27 anni, sardo, corre il Giro per la quarta volta. Nel curriculum un 42° (2013), 3° (2014) e 2° (2015) posto. Nel 2015 ha vinto la Vuelta (Bettini)

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