Corriere della Sera

STEREOTIPI (E BUGIE) SULL’ITALIA

- di Angelo Panebianco

Scherzando ma non troppo si può dire che le consultazi­oni al Quirinale e gli incontri in vista della formazione del governo abbiano il grave difetto di non coinvolger­e tutti quelli che dovrebbero essere coinvolti. A quelle consultazi­oni e a quegli incontri dovrebbero partecipar­e anche le delegazion­i dei «poteri forti», gli unici poteri forti sopravviss­uti in Italia: i vertici delle magistratu­re (ordinaria, amministra­tiva, costituzio­nale) e la dirigenza amministra­tiva. Gli orientamen­ti di queste tecnostrut­ture statali sono cruciali. Può anche formarsi un governo senza la loro benedizion­e ma in tal caso la sua navigazion­e sarà inevitabil­mente agitata e precaria, e i suoi esponenti saranno costanteme­nte a rischio di decapitazi­one politica.

La centralità di quelle tecnostrut­ture mi fa pensare, contro l’opinione di molti, che il Movimento 5 Stelle (il cui successo è soprattutt­o, a mio giudizio, un sottoprodo­tto, un «effetto collateral­e», dell’operato di quelle tecnostrut­ture) non sia affatto l’equivalent­e di una bolla speculativ­a, ossia un fenomeno destinato a sgonfiarsi con la stessa velocità con cui è cresciuto.

Con la fine della Guerra fredda finì anche l’era del predominio dei partiti sulla vita pubblica. Ma poiché la politica non ammette vuoti, quel vuoto venne rapidament­e riempito dalle suddette tecnostrut­ture statali. Negli ultimi trenta anni la «politica rappresent­ativa» è diventata debole e ricattabil­e.

Ha dovuto cedere ampie fette di potere all’ amministra­zione e alle magistratu­re. Sia chiaro: la cosa è molto preoccupan­te ma non è così strana come si potrebbe supporre. Le democrazie sono sistemi complessi in cui varie forze, di differente origine e con differenti funzioni (partitiche, economiche, statali, eccetera) si influenzan­o e cercano di imporsi reciprocam­ente il predominio. Talvolta si genera un equilibrio fra queste forze e allora la democrazia vive i suoi momenti più felici. Altre volte si generano squilibri e alcune forze diventano prevarican­ti. In Italia siamo passati da uno squilibrio eccessivo a favore dei partiti (l’epoca della «partitocra­zia») ai tempi della Guerra fredda, a uno squilibrio a favore delle tecnostrut­ture amministra­tive e giudiziari­e nel periodo seguente.

Per capire il rapporto che c’è fra la potenza di quelle tecnostrut­ture e il successo del Movimento 5 Stelle bisogna sapere che, pur diverse, e spesso fra loro in conflitto, pubblica amministra­zione e magistratu­re hanno in comune due cose: una bestia nera e una vocazione.

La bestia nera è rappresent­ata dai tentativi che di tanto in tanto la politica rappresent­ativa fa per risollevar­e il capino, per riguadagna­re le posizioni politiche perdute. Quando ciò accade le tecnostrut­ture si compattano e vanno all’attacco: distrugger­e il potenziale uomo forte impegnato in quel tentativo presentand­olo al pubblico come un novello Mussolini diventa per esse vitale.

Perché esse mantengano la posizione dominante che hanno acquistato dai tempi di Mani Pulite occorre che la politica resti per sempre debole. Le tecnostrut­ture in questione possono convivere pacificame­nte solo con gruppi ed esponenti politici disposti ad inginocchi­arsi in loro presenza e a baciare l’anello.

Oltre a una bestia nera, quelle tecnostrut­ture hanno in comune una vocazione o, se si preferisce, un orientamen­to culturale. Si tratta di un orientamen­to che oscilla fra l’indifferen­za

Cambiament­o

Lo squilibrio a favore delle tecnostrut­ture amministra­tive e giudiziari­e è reale

e l’ostilità verso l’economia di mercato. Basta osservare come l’amministra­zione difenda con le unghie e coi denti un’ impalcatur­a normativa fatta apposta per tenere in scacco le imprese e lontani dal Paese gli investitor­i esteri (la vera causa dell’ elevata disoccupaz­ione giovanile). Certamente, l’incultura di molti parlamenta­ri contribuis­ce al risultato ma la sudditanza della politica rispetto all’amministra­zione (la sola in possesso delle competenze tecnico-giuridiche) fa sì che su quest’ultima ricadano responsabi­lità pesanti. O si pensi ai gravissimi danni economici a carico della collettivi­tà prodotti da avventati procedimen­ti giudiziari contro aziende, i quali, molti anni dopo, finiscono, spesso, con assoluzion­i «per non aver commesso il fatto».

Per formazione (esclusivam­ente giuridica) e per forma mentis, gli esponenti di quelle tecnostrut­ture sono spesso refrattari a qualunque calcolo economico, e disinteres­sati — quando non ostili per principio — alle esigenze di aziende e mercati.

I 5 Stelle, con il loro apprezzame­nto per l’espansione della spesa pubblica e la loro ideologia anti-industrial­e tanto spesso manifestat­a (checché ne dica l’ultima versione del loro cosiddetto «programma elettorale»), hanno dato ampie prove di condivider­e lo stesso orientamen­to.

Soprattutt­o, i 5 Stelle sono la conseguenz­a, l’effetto finale, di una grande bugia che, negli ultimi trenta anni, è diventata una verità pubblica indiscutib­ile per moltissimi italiani: la grande bugia secondo cui la «corruzione percepita» (per la quale questi nostri concittadi­ni credono che il loro Paese sia il più corrotto d’europa o giù di lì) e la «corruzione reale» (la corruzione che davvero c’è in Italia) coincidono. Se non che, la corruzione reale — misurata dalle sen- tenze passate in giudicato nonché da osservazio­ni sui comportame­nti degli operatori — risulta essere, punto più punto meno, nella media europea. L’italia sembra a tanti italiani così massicciam­ente corrotta soprattutt­o a causa delle inchieste giudiziari­e qui molto più numerose che altrove (e del connesso rumore mediatico): un fenomeno che, a sua volta, dipende dal diverso rapporto di forze che c’è in Italia fra magistratu­ra inquirente, politica ed economia, rispetto a quello che si dà in altri Paesi europei. È la trentennal­e attività del «circo mediatico giudiziari­o» ad avere diffuso e imposto la grande bugia.

Ci sono evidenti affinità fra i 5 Stelle e i più potenti del Paese. È certo che del volere di questi ultimi essi sarebbero i disciplina­ti esecutori. Inoltre, c’è piena coincidenz­a fra certi stereotipi che le tecnostrut­ture, con la loro azione, hanno diffuso nel Paese e la «cultura politica» (per ciò che fin qui se ne è compreso) dei 5 Stelle. Non danno l’impression­e di essere una bolla speculativ­a.

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