Nel partito
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Il 5 marzo, il giorno dopo le elezioni politiche che hanno certificato il minimo storico per il Pd, fermo al 18,7%, Matteo Renzi si presenta in conferenza stampa nella sede dem di Largo del Nazareno, a Roma (foto), e annuncia che lascerà l’incarico da segretario dopo la composizione delle Camere e la formazione del governo. Immediate le polemiche interne per la scelta dei tempi. Renzi si dimette ufficialmente il 12 marzo.
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Prima di ufficializzare l’addio, Renzi indirizza il partito sulla linea dell’opposizione. La direzione nazionale indetta il 12 marzo conferma la decisione: il Pd respinge a maggioranza l’ipotesi di intese di governo e in quella giornata sceglie come segretario reggente Maurizio Martina (foto), che lascia ai vincitori — la coalizione di centrodestra e il Movimento 5 Stelle — il compito di riuscire a formare un governo.
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Al primo giro di consultazioni al Quirinale, al capo dello Stato Sergio Mattarella (foto) il reggente dem conferma: il Pd starà all’opposizione, l’onere di trovare una maggioranza spetta ai vincitori. Dopo il secondo giro di consultazioni, tuttavia, Martina sottolinea che in caso di un appello diretto del Colle, il partito potrebbe aprire una riflessione interna sui temi e verificare la possibilità di convergenze con il Movimento 5 Stelle.
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Il Pd non incontra la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che dal Colle ha ricevuto un mandato esplorativo per sondare la possibilità di un’intesa M5s-centrodestra. Quando però il mandato è conferito al presidente della Camera Roberto Fico, che lavora su un’ipotesi di alleanza M5S-PD, Martina si dice disponibile a sondare il Pd sull’apertura di un confronto con i 5 Stelle: è quanto dovrà decidere la direzione dem del 3 maggio.