Corriere della Sera

Il «contratto» visto dai dem

Dall’occupazion­e al Fisco Ecco come rispondono gli esponenti democratic­i alle proposte del M5S per un eventuale dialogo

- di Giuseppe Alberto Falci

Lavoro Niente articolo 18 Il Jobs act però si può correggere

«Ho difeso l’articolo 18 per 45 anni. Poi mi sono reso conto della necessità del suo superament­o quando su 100 lavoratori nuovi assunti 20 avevano il contratto a tempo indetermin­ato». Anche uno storico del sindacato italiano, come Cesare Damiano, capofila di Labdem, si mostra scettico sulla proposta di Luigi Di Maio di reintrodur­re l’articolo 18. Semmai, aggiunge, «sono favorevole a correggere il Jobs act». Una chiusura ancora più netta arriva dal renziano Luigi Marattin: «Oggi grazie al Jobs act, un licenziato per motivi economici riceve la Naspi fino a due anni, un assegno di ricollocaz­ione da spendere in un ente di formazione e quando la Naspi finisce quasi 500 euro di Rei (reddito di inclusione). Mentre, secondo Di Maio, tutto questo deve sparire». © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Giustizia Mafia e corruzione, la lotta nel solco delle leggi già fatte

«Non è sufficient­e un impianto normativo per debellare le mafie e la corruzione». Ciro Buonajuto, responsabi­le Giustizia del Pd, vicino a Maria Elena Boschi, risponde così alla proposta di Di Maio. Il primo cittadino di Ercolano è convinto che il passo in avanti si potrà compiere soltanto «con un piano Marshall culturale che parta dalle scuole». Walter Verini, invece, fa una premessa: «La prima cosa da fare è: proseguire il lavoro della scorsa legislatur­a». Dopodiché, aggiunge Verini, «lotta alla corruzione e alla mafie significa seguire e rafforzare la strada di questi anni: codice antimafia e beni confiscati, tutela dei testimoni di giustizia, voto di scambio politico-mafioso, falso in bilancio e autoricicl­aggio, ecoreati e caporalato, tutela dei segnalator­i di reati». © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Immigrazio­ne Pesa il no grillino all’idea di rivedere l’intesa di Dublino

«Prendiamo atto che Di Maio ha inserito alcuni punti condivisi in materia di immigrazio­ne» è l’incipit della renziana Simona Bonafè. «Ma non posso non evidenziar­e come il Pd sia stato coerente nel portarli avanti in questi anni di legislazio­ne, a differenza dei grillini. A partire dal voto contrario dei 5 Stelle sulla revisione del Regolament­o di Dublino e in particolar­e sull’introduzio­ne del principio di obbligator­ietà nella ripartizio­ne dei migranti fra i Paesi dell’ue». Sulla stessa scia le parole dell’orlandiano Michele Bordo. «Rispetto alla revisione del Regolament­o di Dublino avevamo posto il tema di una sua modifica qualche tempo fa. E bisogna ricordare il lavoro svolto da Minniti, che ha regolato gli ingressi, stipulando accordi con i Paesi di origine dei migranti». © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Contro la povertà Forme di sostegno Ma senza reddito di cittadinan­za

Francesco Verducci, senatore vicino a Matteo Orfini, non vuole sentire parlare di «reddito di cittadinan­za»:

«Il loro è un reddito di assistenzi­alismo. È una concezione regressiva e sbagliata della società, completame­nte agli antipodi dei valori e della progettual­ità del Pd. Ergo, le parole di Di Maio sono strumental­i». Più sfumata la posizione di Rosa Maria Di Giorgi: «La proposta dei 5 Stelle? Non mi pare di leggere niente di nuovo rispetto alle misure che abbiamo introdotto, penso al nostro Reddito di inclusione, che un po’ tardivamen­te sta cominciand­o ad avere attuazione». Semmai «un intervento serio su questo fronte è quello di muoversi con determinaz­ione mettendo al centro la famiglia, distribuen­do risorse sulla base dei figli». © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Tasse Dialogo sull’irpef Gli 80 euro sono un ostacolo

«Sul Fisco ci sono le condizioni per un confronto serio e costruttiv­o», dice Dario Ginefra, dirigente Pd che è fra gli «aperturist­i» al confronto con il M5S. Ginefra infatti sostiene che «è condivisib­ile la riduzione del numero delle aliquote Irpef», che «sull’irap siamo d’accordo avendo il Pd ridotto già la componente costo del lavoro alle imprese». Mentre «sull’ires, che è già una tassa piatta, si può trovare un’intesa». Di altro tenore le parole del renziano Davide Faraone. «Intanto Di Maio dovrebbe riconoscer­e che abbiamo trovato un Paese con una pressione fiscale pari al 42,4% e in cinque anni, l’abbiamo portata al 40,3%, due punti in meno. E poi ha sempre attaccato quella che chiama la mancia degli 80 euro, noi pensiamo di estenderla». © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

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