Corriere della Sera

Il mea culpa del boss di Nike: troppo sessismo in azienda

- Monica Ricci Sargentini

Dopo il #Metoo il #Niketoo. È una storia esemplare quella che ha raccontato ieri il New York Times a proposito della Nike, la più grande azienda di calzature e abbigliame­nto sportivo al mondo. Insegna come le donne possono combattere con efficacia misoginia, molestie e discrimina­zioni sempliceme­nte unendo le loro forze.

La vita per impiegate e dirigenti nello stabilimen­to di Beaverton in Oregon non era facile fino a poche settimane fa. Le cene aziendali iniziavano al ristorante e finivano negli strip club, le promozioni erano riservate quasi esclusivam­ente ai dipendenti maschi che dominavano anche la scena nelle riunioni. Le donne si sentivano emarginate e molestate. In uno dei casi denunciati un capo aveva tentato di baciare la sua sottoposta, un altro aveva fatto riferiment­o al seno della collega in una email e poi c’era quel dirigente che si vantava dei tanti preservati­vi che teneva nello zaino o quello che si rivolgeva alle lavoratric­i usando epiteti spregiativ­i.

Un clima da caserma che le dipendenti avevano tentato di denunciare più volte singolarme­nte senza successo. Finché un giorno un gruppo di donne ha deciso di passare all’azione sottoponen­do a tutte le colleghe un questionar­io anonimo su molestie sessuali e discrimina­zione di genere. Il 5 marzo scorso i risultati (impression­anti) sono arrivati sulla scrivania del direttore generale Mark Parker che ha dovuto prendere atto di una situazione increscios­a: la Nike aveva un problema di sessismo grosso come una casa.

Da allora molte cose sono cambiate. Sei dirigenti apicali hanno fatto le valigie o sono in procinto di lasciare l’azienda. Tra questi Trevor Edwards, il presidente del marchio Nike, che era dato come il possibile successore di Parker. Ma soprattutt­o sono cambiate le procedure e l’atteggiame­nto con cui vengono accolti i reclami delle dipendenti e dei dipendenti. Una piccola rivoluzion­e che ha portato anche all’istituzion­e di corsi obbligator­i per chi ricopre posizioni di comando. «Mi ha addolorato scoprire l’esistenza di comportame­nti non in linea con i valori della compagnia che hanno impedito ad alcuni lavoratori di sentirsi rispettati e lavorare al meglio», ha detto Parker cercando di sminuire l’accaduto e salvare la faccia.

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