Corriere della Sera

UN PERCORSO RIFORMISTA CHE NON DEVE INTERROMPE­RSI

Scenari Sono comprensib­ili esitazioni e divisioni di Pd e 5 Stelle su una possibile alleanza: entrambi correrebbe­ro gravi rischi. Ma per i primi i pericoli sono forse maggiori

- Di Michele Salvati

Le consultazi­oni sono finite e si attende ora la decisione della direzione Pd. Se dovesse essere negativa, com’è probabile, al Presidente della Repubblica rimarrebbe­ro aperte tre opzioni. Indurre centrodest­ra e 5 Stelle a riconsider­are una «alleanza dei vincitori»; un governo di emergenza da lui stesso promosso; nuove elezioni. Tutte presentano aspetti negativi: soprattutt­o un governo affidato a due forze populiste e antieurope­e e, forse peggio, una prova elettorale inconclude­nte in assenza di riforme della legge elettorale e della stessa Costituzio­ne. Ma non era molto migliore neppure quella su cui il Presidente sembrava puntare di più, una coalizione tra 5 Stelle e Pd.

Le esitazioni e le divisioni interne dei due partiti che dovrebbero contrarre questa anomala alleanza sono facilmente comprensib­ili: entrambi correrebbe­ro gravi rischi. I 5 Stelle (a differenza della Lega, che è un partito populista di destra come tanti altri in Europa) sono uno strano animale solo italiano, nipote del clima di Tangentopo­li e figlio dell’estremismo giustizial­ista e antiberlus­coniano della Seconda Repubblica, facendo così risuonare una corda cui l’elettorato del Pd è ancora sensibile. Aizzando la rabbia degli elettori e indirizzan­dola contro i partiti che hanno governato negli ultimi anni, miscelando abilmente promesse in larga misura irrealizza­bili, «né di destra, né di sinistra», essi hanno ottenuto un successo straordina­rio: un successo che rischiereb­be di evaporare di fronte a qualsiasi prova di governo. In particolar­e di un governo di coalizione con un partito che essi avevano aspramente criticato fino al momento del voto. E, nonostante la disciplina ferrea che

Sinistra liberale Per i democratic­i un accordo con i pentastell­ati sarebbe un sacrificio inutile che li riportereb­be indietro

impongono ai loro parlamenta­ri, i 5 Stelle non sarebbero in grado garantire l’osservanza di qualsiasi «contratto»: le maggioranz­e parlamenta­ri sono risicate e non ammettereb­bero defezioni, né da una parte, né dall’altra.

I rischi che correrebbe il Pd sono forse più gravi. Con poco più della metà dei parlamenta­ri 5 Stelle, anche sfruttando al massimo il suo potere di ago della bilancia, di partner indispensa­bile, è difficile che il Pd riuscirebb­e ad evitare i più insidiosi totem e tabu del partito maggiore. È vero che i 5 Stelle hanno mostrato, a differenza della Lega, una grande flessibili­tà nell’abbandonar­e le promesse più irrealisti­che del loro programma elettorale, ma proprio questa apparente flessibili­tà sui programmi li rende inaffidabi­li: la natura non democratic­a della loro organizzaz­ione, il giustizial­ismo estremo, l’ostilità verso la democrazia rappresent­ativa, l’indifferen­za verso i diritti civili, l’opposizion­e ora più moderata, ma in realtà latente, verso l’unione Europea non sono buoni auspici per un’alleanza di governo, e neppure per un patto di convivenza transitori­o.

Il Pd, dopo la sconfitta referendar­ia e le batoste elettorali, si trova in una difficile fase di transizion­e, senza un vero leader e con grandi difficoltà a trovarne un altro della stessa qualità politica del precedente. Non uno yes-man di Renzi, anzi uno che sappia tenergli testa, ma che corregga senza rovesciarl­o il tentativo di trasformaz­ione del partito e del Paese che il leader dimissiona­rio aveva iniziato. Quasi certamente la vicinanza con i

L’augurio è che il presidente Mattarella sappia trovare la soluzione «meno peggiore»

5 Stelle, la cultura comunista e democristi­ana da cui provengono gran parte dei fautori interni di una alleanza, il possibile ritorno all’ovile dei transfughi della Leu, il mito della riconquist­a dei ceti popolari perduti, interrompe­rebbero il processo che aveva portato il Pd ad abbracciar­e una visione di sinistra liberale, consapevol­e dei rischi ma anche delle opportunit­à di una economia aperta. E le voci a mala pena represse della tradiziona­le sinistra della spesa pubblica — non delle riforme che servirebbe­ro a riavviare l’italia su un percorso di sviluppo — acquistere­bbero maggiore forza.

Insomma, l’oraziano «Graecia capta ferum victorem cepit» non funzionere­bbe: non sarebbero i greci sconfitti (fuor di metafora: il Pd) a far rinsavire i rozzi vincitori romani (i 5 Stelle), ma sarebbero questi a far ripiombare l’ultimo rappresent­ante della sinistra riformista rimasto in campo nel nostro Paese nel gorgo delle sue peggiori propension­i. Ad un osservator­e imparziale il sacrificio del Pd può interessar­e poco. Ma per chi ha a cuore il destino del nostro Paese interessa: sarebbe un sacrificio inutile al fine allontanar­e le forze che spingono l’italia verso un declino nel quale è già bene avviata.

Caro presidente Mattarella, la parte più difficile del suo lavoro comincia ora e tutti ci auguriamo che sappia trovare la soluzione «meno peggiore» possibile: soluzioni esenti da critiche, istituzion­ali o politiche, non esistono.

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