Corriere della Sera

«Ironico Grisha, esule della vita» Magris racconta von Rezzori

Vent’anni fa moriva il romanziere originario della Bucovina: lo ricorda il germanista che fu suo amico

- Di Ida Bozzi

Nato in un territorio dell’allora regno-impero austrounga­rico, la Bucovina (poi divisa tra Romania e Ucraina), autore destinato ad attraversa­re l’europa e a dividersi tra le molte patrie e la condizione di apatride, vent’anni fa si spense Gregor von Rezzori (1914-1998): che fu scrittore, collezioni­sta nonché mecenate, e ospite di autori come Bruce Chatwin, Michael Ondaatje, Robert Hughes e molti altri nella tenuta di Santa Maddalena, in Toscana, in cui si era ritirato insieme alla moglie, la gallerista Beatrice Monti della Corte — che creò dopo la sua morte la Fondazione Santa Maddalena, anima del Festival degli scrittori e del Premio von Rezzori.

Multicultu­rale di sangue, di origini siciliane, ungheresi e romene, Rezzori, anzi Grisha come lo chiamavano gli amici, ha lasciato romanzi che sono lo specchio di un mondo vivace ma roso da inquietudi­ni e abissi. Di quale crogiuolo fosse il cantore, lo abbiamo chiesto a Claudio Magris, che di Rezzori fu amico e che condivise con lui l’appartenen­za a mondi di confine e di frontiera, l’ovest e l’est.

«In una sua pagina — inizia Claudio Magris — Grisha stesso ha ricordato il nostro primo incontro, a Roma, al Goethe Institut. Una serata del bel mondo, lui leggeva alcune sue pagine e io, allora militare a Roma (soldato semplice) gli raccontavo come a Trieste, con i miei amici, chiamavamo con il nome di certi personaggi dell’ermellino a Cernopol alcune persone, per caratteriz­zarle. Ma si era divertito soprattutt­o a vedere un generale di corpo d’armata, l’unico in divisa oltre a me, che non sapeva se darmi del tu, come si usava da parte di ufficiali ai soldati semplici, o del lei, visto che gli altri mi apostrofav­ano in tedesco, chiamandom­i Herr Professor, finché, arrivata l’ora del rientro, mi aveva fatto accompagna­re in caserma con la grande macchina blu del comando, con la bandierina, tra lo stupore dei miei commiliton­i che mi avevano visto uscire dalla caserma stessa dopo aver ramazzato la camerata... Da allora ci siamo visti tante volte, a Vienna, a Monaco, a New York (che per lui era una Cernopol), a Donnini con la moglie Beatrice. Abbiamo anche molto riso, un po’ per celia e un po’ per non morire».

Già emerge il ritratto di un autore cosmopolit­a, egli stes- so incrocio di culture e di lingue. Ma di quale cultura si sentiva figlio, qual era la formazione di von Rezzori?

«È difficile rispondere — ci spiega il germanista e scrittore— perché quasi tutta l’opera di Rezzori è una risposta a questa domanda — una risposta elusiva, ironica, appassiona­ta, struggente, insieme mistificat­oria e dolorosa. Nato a Czernowitz ovvero Cernauti ovvero Cernovcy — o meglio a Cernopol, che nel suo romanzo Un ermellino a Cernopol (Guanda, 2016, ndr) è il nome immaginari­o di una città immaginari­a ma più reale di ogni altra, perché ha conservato, come detriti e macerie sbriciolat­e ma ancora vive e feconde, tutti gli strati etnici, culturali linguistic­i, nazionali — Rezzori si è definito ed è un ex, ex di tante realtà, identità, appartenen­ze».

Uno status che è anche esistenzia­le, continua Magris: «Una condizione particolar­issima di cui egli ha fatto un’identità plurima, frastaglia­ta e universale, che ci riguarda tutti, che riguarda ogni individuo, che è sempre un ex di qualcosa e talora, come nella narrativa di Rezzori, in primo luogo di sé stesso. La sua Cernopol, immortalat­a in quel capolavoro che è il romanzo omonimo, è la patria di quell’intreccio e scambio di vero e di falso, come il viso del signor Tarangolia­n nel romanzo, che è la vita contempora­nea. Il vecchio mosaico absburgico diviene uno specchio del mondo contempora­neo e dell’individuo contempora­neo. Un individuo, quello odierno, che è ex di tutto, esule dalla vita vera, epigono “che è in noi, che conosce a memoria e piange in silenzio tutta la storia fin dalle origini”, si dice nel romanzo Edipo a Stalingrad­o».

Sentimenti quasi non raccontabi­li, ma al centro di molti libri di Rezzori, non solo il romanzo di Cernopol ma anche La morte di mio fratello Abele (Bompiani, 2014). «Grisha dissimulav­a la profonda malinconia — aggiunge Magris — per l’esilio della vita vera, per il guastarsi di ogni infanzia e di ogni purezza; la dissimulav­a nel bon ton del garbo mondano, nell’accettazio­ne del falso e nella consapevol­ezza che esso a poco a poco diventa la nostra natura. Ma, sia pur mascherato, c’è un profondo dolore nella sua scrittura; un dolore che egli ha espresso con profonda poesia, questo senso dell’esistenza come un gioco in cui è inevitabil­e ma non perciò accettabil­e barare. “Non ti chiedo di approvare tutto questo, dice nell’ermellino Madame Aritonovic; ti chiedo soltanto di capire...”».

L’individuo diviso, il mélange di culture, il senso dell’esilio, il crollo dell’ideale multinazio­nale dell’impero. Qual è l’eredità letteraria di Rezzori, cosa ci ha lasciato?

«Tante storie indimentic­abili — risponde Magris —, soprattutt­o una lanterna magica della pluralità, dell’ambivalenz­a

Il primo incontro «Ero a Roma militare e lui doveva leggere alcune sue pagine in una serata mondana»

L’eredità letteraria «Ci ha lasciato storie indimentic­abili, una lanterna magica della pluralità dell’oggi»

dell’individuo contempora­neo, precaria e provvisori­a molteplici­tà che fa presto a dissolvers­i in tanti frammenti. Ma anche una sua paradossal­e moralità. Una volta gli ho detto che gli volevo bene anche perché, se talora mentiva agli altri, non mentiva mai a sé stesso, non se la dava a intendere».

Conclude: «Questa è una premessa necessaria di ogni morale. Forse per questo mi ha dedicato un magnifico racconto, Skutschno, il primo dei racconti di quel libro straordina­rio che sono le Memorie di un antisemita. Memorie fittizie di un io fittizio, naturalmen­te, ma di un io che contiene potenziali­tà latenti in molti di noi e dunque anche nell’autore. Un grande libro su e contro l’antisemiti­smo, proprio perché ne esplora la latenza, ancora inconscia e innocente, in molti magari ignari di esserlo e soprattutt­o in molti originari della Mitteleuro­pa. Come quella scena mirabile in cui il protagonis­ta si accoda passivamen­te, senza entusiasmi e con molte incertezze ma pure si accoda al corteo dei viennesi che festeggian­o nel 1938 l’arrivo di Hitler».

 ??  ?? Primi anni del Novecento: la sinagoga di Czernowitz (oggi Cernivci, Ucraina), la città dove nacque Gregor von Rezzori
Primi anni del Novecento: la sinagoga di Czernowitz (oggi Cernivci, Ucraina), la città dove nacque Gregor von Rezzori

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