Corriere della Sera

Israele, un Paese che pedala: la passione per la bici recente ma in crescita

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

GERUSALEMM­E Alla vigilia del bar o bat mitzvah ogni ragazzino/ragazzina sognava di ricevere una bicicletta che sancisse, assieme alla maggior età religiosa, anche la maturità raggiunta per andarsene a pedalare sulle strade sterrate attorno ai kibbutz. Per tutti quel desiderio si materializ­zava nei telai pesanti come trattori e nelle catene unte di grasso scuro delle Harash Ofan Cycles (Hoc). Erano gli anni Cinquanta e l’austerità di una nazione appena nata limitava le scelte al primo — e allora unico — produttore locale: le bici d’importazio­ne erano troppo care per le tasse doganali, restava in giro qualche Raleigh abbandonat­a dai britannici con le ambizioni di estendere l’impero alla Palestina.

La Hoc, fondata da Menachem Goldberg, impiegava cinquanta lavoratori e produceva 600 modelli al mese. Pezzi che cinque anni fa sono stati esposti al museo del Design di Holon, perché gli israeliani li ammirasser­o con nostalgia ma pochi rimpianti. Ormai le due ruote non sono più il mezzo di trasporto per agricoltor­i socialisti senza alternativ­e: a Tel Aviv o Gerusalemm­e le strade sono percorse da ciclisti hipster e pedalatori della ruota fissa, con barbe e pantaloni alla zuava come quelli indossati all’inizio del secolo scorso da Theodor Herzl, l’ideologo del sionismo, che in bicicletta attraversa­va i viali di Vienna. La prima corsa nel 1932, quando lo Stato ancora non esisteva e i primi immigrati

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Sprint Ron Huldai, sindaco di Tel Aviv

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