Dalla triade israeliana allo Zoncolan e Roma la magia di una corsa che toglie il respiro
Ragalna, tremila anime, incastonato nella lava dell’etna. Mercogliano, monti del Partenio, dalle parti di Avellino. Calascio, 134 abitanti, ai piedi del Gran Sasso. La salita di Fonte della Creta, nel pescarese. I passi friulani Duron e Sella Valcalda, i valichi di Sant’antonio e Costalissoio nel bellunese, il piemontese Jafferau, i valdostani Tsecore e Saint-pantaléon.
Alzi la mano chi (residenti e pedalatori esclusi) ha visitato uno di questi luoghi, forse marginali per la geografia italiana ma (probabilmente) cruciali per il Giro d’italia edizione numero 101. È il bello, l’imponderabile, il magico di una corsa che accanto alle celebrità dell’orografia ciclistica nazionale (quest’anno Etna, Gran Sasso, Zoncolan, Colle delle Finestre, Sestriere e Cervinia) dissemina trappole e sorprese in ogni angolo del Belpaese per rendere la corsa imprevedibile ed entusiasmante.
Quest’anno la triade israeliana (crono breve e due frazioni per velocisti) dovrebbe offrire spettacolo senza terremotare la classifica. Ma quella siciliana (in tutto 500 chilometri, più arcigni del 2017) può tagliare le gambe a qualche favorito. Da Catania a Caltagirone (tappa 4) non c’è un attimo di respiro, da Agrigento a Santa Ninfa (tappa 5) gli ultimi 50 chilometri sono un toboga e, il giorno dopo, da Caltanissetta si sale ai 1736 metri dell’etna dal versante più duro di sempre, quello di Ragalna: 15 chilometri con due passaggi-trappola al 15%. Occhio alle tappe 8 e 9 che scavallano dalla Calabria all’abruzzo. Nella prima l’estenuante salita di Montevergine di Mercogliano dove gli scudieri di Froome faranno un ritmo infernale, nella seconda l’infinito Gran Sasso (50 chilometri) che si accumula nelle gambe come un pranzo di nozze nello stomaco e dove il dessert (a quota 2000) sono 7 chilometri con picchi del 13% e Calascio il punto di svolta.
Poche ore per riprendere fiato: da Penne a Gualdo Tadino c’è il Fonte della Creta che inizia un metro dopo il via. I suoi 16 chilometri al 12% sono l’aperitivo della frazione più lunga, con 239 chilometri ondulatissimi. Notte di riposo e poi via sulle montagne russe che separano Assisi da Osimo.
Qualche giorno per riprendere fiato. Fino alla tappa 14, quella che arriva sulla cima dello Zoncolan da Ovaro: semplicemente la salita più dura d’italia. Il problema è che prima del «mostro» ci sono Duron (punte del 18%) e Valcalda (12%), che non sono proprio collinette. Otto ore di sonno e si va da Tolmezzo a Sappada. Dopo la Mauria e il Tre Croci (che già non scherzano), Sant’antonio e Costalissoio,
Trappole Disseminate trappole e sorprese in ogni tappa che rendono imprevedibile la corsa
affilati come lame. Chi ha sofferto con lo Zoncolan, qui potrebbe dire ciao alla classifica. A Trento si respira (se si digeriscono giorno di riposo e velocissima cronometro, l’incubo di Fabio Aru) prima di sfidare l’ultima triade. Dell’abbiategrasso-pratonevoso (tappa 18) preoccupa la salita finale, della Venariabardonecchia preoccupa tutto: il Colle del Lys, il leggendario, sterratissimo Colle delle Finestre, il Sestriere e poi l’ascesa finale allo Jafferau, con barra dell’altimetro fissa sul 10%. Il giorno dopo la Susa-cervinia, di cui spaventano meno i 18 chilometri finali degli intermedi, inquietanti, Col Tsecore e il gemello Saint– Pantaléon. Per fortuna, il mattino dopo, la carovana affronterà l’ultimo trasferimento. Destinazione Roma, 115 chilometri perfettamente pianeggianti, a quel punto senza sorprese.