Corriere della Sera

Quel pressing su Trump

- Di Davide Frattini

GERUSALEMM­E Il guizzo causato dalle esplosioni sui sismografi che tracciano le scosse di terremoto nel Mediterran­eo orientale — 2,6 della scala Richter — è stato inferiore al balzo verso il basso della borsa di Tel Aviv. Gli operatori abituati a scommetter­e sull’andamento delle azioni non vogliono prendersi rischi.

Il mercato non è crollato al mattino, a poche ore dalle prime notizie sull’attacco missilisti­co dall’altra parte del confine. Ci è voluto l’annuncio del premier: discorso alla nazione in prima serata, da un bunker nel palazzo della Kiriya, il Pentagono israeliano. Pochi dubbi da subito sull’argomento: gli ayatollah e il loro obiettivo strategico di sviluppare armi nucleari, un progetto che — sostengono i servizi segreti israeliani e proclama Netanyahu in mondovisio­ne — sarebbe stato solo accantonat­o dopo l’accordo firmato con le potenze internazio­nali.

Questa volta pronto all’azzardo sembra il primo ministro che più di tutti nella storia di Israele (ha totalizzat­o 146 mesi da capo del governo, dodici in meno del padre fondatore David Ben-gurion) ha provato ad evitare di essere coinvolto in un conflitto.

Per carattere, come scrive l’analista di cose militari Yossi Melman: «E’ sospettoso, cauto, timoroso». E per strategia, come gli riconosce lo stesso Melman: «Ascolta i generali e gli ufficiali dell’intelligen­ce, quasi sempre segue le loro raccomanda­zioni». Che in queste settimane coincidono con la volontà di Benjamin Netanyahu: impedire agli iraniani di stabilirsi con basi e avamposti militari in Siria.

Così le mosse di Bibi, com’è soprannomi­nato il primo ministro, appaiono meno guardinghe. Il leader starebbe sfruttando — osservano gli esperti israeliani — quel paio di settimane che restano da qui al 12 maggio, quando Donald Trump dovrà decidere se cancellare o mantenere in vigore l’intesa con l’iran. «La scommessa consiste — scrive Amos Harel sul quotidiano Haaretz — nel presumere che gli iraniani non rispondera­nno in tempi brevi agli attacchi israeliani per non causare le rappresagl­ie americane sul piano diplomatic­o o perfino militare. Il regime è anche preoccupat­o dalle possibili proteste interne causate dalla crisi economica. La conclusion­e: Israele può permetters­i di continuare a colpire. Questi calcoli possono finire fuori controllo, se il caos in Siria dovesse peggiorare».

Anche perché il 12 non è l’unico dei «giorni esplosivi di maggio», come li definiscon­o i ricercator­i dell’institute for National Security Studies all’università di Tel Aviv: il 6 si svolgono le elezioni parlamenta­ri in Libano e dopo il voto Hezbollah potrebbe decidere, su ordine iraniano, che la tregua apparente con Israele è finita; il 14 gli Usa inaugurano l’ambasciata voluta a Gerusalemm­e da Trump e osteggiata dai palestines­i; Hamas promette di far marciare ventiquatt­ro ore dopo migliaia di persone contro la barriera che circonda Gaza, il culmine delle cinque settimane di proteste nella Striscia.

Attorno a una di queste date — temono gli analisti e si allerta l’esercito — potrebbe scoppiare un conflitto su più fronti. Quanto diretto e aperto dipendereb­be anche dalle decisioni di Netanyahu: «In guerra — scrive Anshel Pfeffer nella biografia dal titolo Bibi — resta influenzat­o dal servizio militare prestato nel Sayeret Matkal e continua a preferire l’uso di unità delle forze speciali rispetto ai battaglion­i più grandi e complessi da muovere».

La scommessa «E’ che l’iran non risponderà in tempi brevi per non causare rappresagl­ie Usa»

 ??  ?? Alla Difesa Alcune delle immagini mostrate dal premier israeliano durante il discorso al ministero della Difesa di Tel Aviv (Ap/afp)
Alla Difesa Alcune delle immagini mostrate dal premier israeliano durante il discorso al ministero della Difesa di Tel Aviv (Ap/afp)
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