Corriere della Sera

Shah, il fotografo ucciso perché raccontava Kabul

L’attentato Un kamikaze fa strage di giornalist­i

- di Lorenzo Cremonesi e Marta Serafini

Ieri mattina un’esplosione sveglia Kabul. I reporter accorrono nei pressi degli uffici dell’intelligen­ce afghana. C’è anche Shah Marai, capo dell’ufficio della France Presse a Kabul, papà di 5 figli. Ma è solo una trappola. Mentre i report sono sul posto un kamikaze con la telecamera arriva e si fa saltare: alla fine i morti saranno nove.

«Ogni mattina mentre vado in ufficio e tutte le sere quando torno a casa, penso solo alle auto che possono essere trappole esplosive, o ai kamikaze che escono dalla folla».

Scriveva così Shah Marai, in un articolo, bellissimo, del 2016. Ieri Marai, a capo dell’ufficio della France Presse a Kabul, papà di 5 figli, è morto.

Sono le 8 quando Kabul viene svegliata da una prima esplosione, vicino agli edifici dell’intelligen­ce afghana. Un kamikaze a bordo di una motociclet­ta colpisce. I reporter accorrono sul posto. È l’ottavo attentato dall’inizio dell’anno. Tra loro, c’è anche Marai, 41 anni. Ha esperienza, ha iniziato a lavorare per l’afp nel 1998 come autista. Con le sue foto ha raccontato la guerra infinita del suo Paese.

È passata mezz’ora dalla prima detonazion­e. Un uomo si avvicina al gruppo dei reporter vicini al posto di blocco. Ha in mano una telecamera. Mostra il tesserino stampa. Si fa saltare vicino al gruppo di giornalist­i e fotografi. Moriranno in nove (sei secondo il ministero degli interni), quasi tutti al di sotto dei trent’anni. E rimane lì agonizzant­e sulla strada anche chi stava andando a scuola, chi al lavoro. Perdono la vita anche 4 poliziotti. Alla fine della giornata, il bilancio sarà di almeno 25 vittime e 45 feriti.

All’ospedale di Emergency, vicino alla Green Zone, si lavora senza sosta. Arrivano 17 pazienti, in 5 sono già morti, 4 sono in condizioni critiche. «Prima in inverno c’erano meno combattime­nti. Quest’anno, invece, anche a gennaio il flusso dei pazienti è stato altissimo», spiega il coordinato­re Dejan Panic. E c’è spazio anche per i ricordi, «Marai veniva spesso da noi, era diverso dagli altri, un giornalist­a empatico, attento. Nel 2014 è stato anche per giorni al fianco di Abuzar, il figlio di Sardar Ahmad, suo collega ucciso in un attentato nel 2014 con la famiglia», racconta al Corriere Emanuele Nannini, vicedirett­ore dell’ufficio umanitario di Emergency.

Dolore e morte sono fili rossi che attraversa­no il Paese, mentre sale la tensione in vista delle elezioni di ottobre e le trattative tra i talebani e il governo assumono la sembianza di una pantomima. E se è sempre più evidente come la pace non convenga a nessuno, passata una manciata di ore dall’attacco, puntuale arriva la rivendicaz­ione dell’isis. Stesso copione della settimana scorsa, quando 70 persone sono state uccise davanti ad un centro di registrazi­one elettorale.

Ma non è solo Kabul il terreno di scontro. Sempre ieri, nel sud del Paese, a Kandahar, un kamikaze alla guida di un’autobomba si è fatto saltare davanti a una moschea contro un convoglio della Nato. L’esplosione ha distrutto il muro di cinta di una scuola coranica e il prezzo più caro lo hanno pagato undici studenti. Poi la lunga scia di sangue è arrivata nella provincia orientale di Khost, dove un altro giornalist­a che lavorava per la Bbc, Ahmad Shah, è stato ucciso in un agguato. «Siamo distrutti, aveva solo 29 anni», hanno detto i colleghi da Londra.

È l’afghanista­n, dopo 17 anni di guerra.

 ??  ?? Una foto d’archivio di Shah Marai scattata nel 2014: ritrae bambini afghani che giocano a calcio in un campo di Kabul
Una foto d’archivio di Shah Marai scattata nel 2014: ritrae bambini afghani che giocano a calcio in un campo di Kabul
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Il funerale La sepoltura del fotografo Shah Marai (Ap)

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