Corriere della Sera

«Lavoro per l’esecutivo non per le urne» Ma Salvini non vuole sostegni «mercenari»

- di Marco Cremonesi DAL NOSTRO INVIATO

Per Matteo Salvini è l’ora del dilemma. Governo o elezioni? Dare una chance ancora alla formazione del governo oppure puntare a tutta velocità — tutta quella possibile — sul ritorno alle urne mentre il vento del consenso gonfia le vele alla Lega?

A giudicare dal primo — e unico — atto pubblico nella giornata del segretario, la strada sembrerebb­e quella del governo. Quel due di picche, la carta che non conta, piantato su una spiaggia del Gargano e indirizzat­o a Di Maio, però, non aiuta a comprender­e. Anche se l’hashtag è quello di sempre, #andiamoago­vernare. E spiega: «Io lavoro per il governo non per le elezioni».

Di certo, racconta chi gli ha parlato, Salvini è molto soddisfatt­o dell’aver preso tempo fino a dopo le elezioni, lo «scolliname­nto delle Regionali». La conquista del Molise e quella, con numeri clamorosi, del Friuli Venezia Giulia è «stata una scommessa vincente che ha dato alla Lega il peso che noi sentivamo avesse». E il commento a latere, riferito dai piani alti della Lega, è che «se anche Renzi non avesse sbattuto la porta in faccia a Di Maio, l’ipotesi di un governo 5 Stelle-pd sarebbe stata seppellita dagli elettori».

Il che, però, non aiuta a risolvere il dilemma. Certo, il segretario leghista capisce che oggi il trovare voti in Parlamento, come Silvio Berlusconi sostiene dal 5 giorno dopo le Politiche, è impresa assai meno impervia che prima. Certo, sulla carta i voti necessari a una maggioranz­a restano una cinquantin­a. Eppure, spiega uno dei collaborat­ori di Salvini, «con questi risultati e soprattutt­o il babau di dover tornare davvero alle elezioni una volta fallisse anche l’ultimo tentativo possibile, sarebbe — aggiunge il leghista con ironia esplicita — un potente richiamo alla responsabi­lità».

Ma c’è il rovescio della medaglia: se anche la caccia al voto riuscisse, quello che ne nascerebbe non sarebbe il governo a cui puntava Salvini, ma «un gruppo raccolto tra mercenari e chissachì». Un esecutivo esposto a defezioni e molto probabilme­nte senza la forza necessaria per fare, come Salvini ripete a ogni comizio, «quello che serve a questo Paese: lavoro, lavoro, lavoro e un rapporto con l’europa senza cappelli in mano».

Contro il voto, però, gioca anche un ruolo fondamenta­le l’assetto futuro del centrodest­ra. Che un salviniano riassume così: «Se tornassimo alle urne avrebbe senso farlo con un listone unico del centrodest­ra. Questo chiuderebb­e la partita con i 5 Stelle. Ma Berlusconi — che non vuole le elezioni — sarebbe disponibil­e?». Difficile, è la risposta che si danno i leghisti: «Ci vorrebbe molta politica». Anche qui, con qualche ironia. Eppure, l’idea del «listone» continua a ronzare tra i pensieri di Salvini.

Resta il fatto che, se l’ipotesi di andare a caccia di voti in Parlamento non sorride affatto al leader leghista, i suoi giurano che lui senta in ogni caso la responsabi­lità di farlo: «Le aspettativ­e della gente sono in quella direzione». Mentre la possibilit­à che nasce nella logica di non far scottare il segretario — e cioè, che l’incarico possa andare a una persona di fiducia di Salvini come il suo vice Giancarlo Giorgetti —, in Lega è considerat­a «ipotesi soltanto dei giornali». Il tutto, ovviamente, al netto di quanto deciderà il capo dello Stato Sergio Mattarella. In Lega si dice che il presidente abbia «seguito traiettori­e istituzion­ali corrette, ma tradiziona­li. Che non tengono conto di questa politica fatta da pazzi: tutti stavano ad aspettare la direzione Pd, e Renzi si presenta in television­e e spacca tutto. Uno spettacolo osceno».

A confortare il segretario, un dato. Il fatto che ormai la Lega guidi Lombardia, Veneto e Friuli significa che nella sua nuova veste nazionale sia arrivata dove Umberto Bossi aveva soltanto potuto sognare: è una vivacissim­a soddisfazi­one di contorno.

I numeri

Per i leghisti ora è più facile trovare i numeri a Roma ma si temono i «responsabi­li»

 ??  ?? Il brindisi Massimilia­no Fedriga, 37 anni, festeggia a Trieste, in piazza Unità d’italia, la vittoria alle regionali. Accanto a lui il sindaco triestino Roberto Dipiazza, 65 (Lapresse)
Il brindisi Massimilia­no Fedriga, 37 anni, festeggia a Trieste, in piazza Unità d’italia, la vittoria alle regionali. Accanto a lui il sindaco triestino Roberto Dipiazza, 65 (Lapresse)

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