TRA SPINTE ELETTORALI E MANOVRE GOVERNATIVE
Il bilancio
Un centrodestra all’attacco dopo il voto in Friuli e nel Movimento si riaffaccia la linea dura dopo il fallimento della trattativa
Lo psicodramma riapertosi dentro il Pd potrebbe far pensare che le sue vicende rimangano centrali. In realtà, la partita della legislatura ha due protagonisti politici: il centrodestra a guida leghista, e il Movimento 5 Stelle ammaccato dai voti regionali ma ancora forza di maggioranza relativa. E un protagonista istituzionale: il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che si ritrova a pilotare l’italia verso un esecutivo dai contorni più sfuggenti di prima; e con spinte elettorali destinate ad aumentare dopo il fallimento del tentativo di Luigi Di Maio di saldare un asse prima con la Lega, poi col Pd. Il candidato premier dei Cinque Stelle adesso chiede a Matteo Salvini, fresco della vittoria alle Regionali in Friuli Venezia Giulia, di andare con lui al Quirinale; e di additare insieme a Mattarella le urne come unico epilogo di questa lunga fase. La richiesta, però, difficilmente potrà essere accolta prima di un ulteriore passaggio. Anche perché nel centrodestra è forte la voglia di tentare la strada di un esecutivo comunque, che dovrebbe cercare la maggioranza in Parlamento. Ma non sarà facile. Il Quirinale è contrario. E al sospetto che Lega e Cinque Stelle abbiano un tacito accordo per votare quanto prima si affianca quello di una convergenza tra Salvini e il Pd renziano per logorare il M5S.
D’altronde, la trattativa di questi quasi due mesi, ha dimostrato che Salvini e Di Maio lavorano con tempi diversi. Il leader leghista sa che per conquistare tutto il centrodestra e scalzare il primato storico di Silvio Berlusconi deve muoversi con cautela; e compiere ogni passo senza forzare le tappe. La sua convinzione è che alla fine i voti gli arriveranno quasi per forza di inerzia. L’assillo di Di Maio di chiudere un accordo, chiamato pudicamente contratto, o col Carroccio o col Pd, dimostra invece la fretta di capitalizzare il successo alle Politiche; e di evitare che nel Movimento si riaffacci la componente ostile alle «contaminazioni» di governo. Già si nota qualche indizio di questa tentazione di ritornare al passato. La virulenza con la quale ieri il «garante» Beppe Grillo ha commentato la fine delle trattative col Pd, e l’ira dello stesso Di Maio, sono sintomi di una delusione cocente; e del timore che le vicende delle ultime settimane possano intaccare non tanto l’entusiasmo quanto la compattezza del Movimento. Il suo trasversalismo che finora è stato un elemento positivo, in Friuli Venezia Giulia si è dimostrato anche un fattore di volatilità elettorale: stavolta a tutto vantaggio della Lega. L’ipotesi di un contratto con due potenziali contraenti si è rivelato velleitario. E ha tirato addosso ai Cinque Stelle l’accusa di puntare solo a Palazzo Chigi con Di Maio, mettendo in secondo piano i «contenuti» ostentati invece come unica bussola. In più, si avverte una punta di imbarazzo per le vicende dalle quali è sfiorato il presidente grillino della Camera, Roberto Fico, per una questione di contributi a una collaboratrice domestica. Rimangono da vedere i contraccolpi che la nuova situazione produrrà sui rapporti tra M5S e Quirinale, finora trattato con rispetto; e tra Mattarella e un centrodestra che lascia filtrare il malumore per gli incarichi esplorativi affidati finora.