Corriere della Sera

I sopravviss­uti al raid dei due clandestin­i «Uno mi teneva da dietro l’altro colpiva in faccia»

Le azioni dei killer di Samsul ricostruit­e dai carabinier­i

- di Andrea Galli e Gianni Santucci

MILANO «Sono sceso dall’autobus e ho cominciato a camminare verso casa, avrò fatto circa 20 metri. In quel momento due uomini nordafrica­ni che avevo visto prima mi hanno aggredito. Uno, da dietro, mi teneva bloccato per le spalle; l’altro, davanti, mi colpiva più volte con una bottiglia in faccia». Una bottiglia di plastica, tagliata in due: con quella Frank Quispe Porras, 36 anni, peruviano, operaio, è stato sfregiato sotto lo zigomo. «Mi urlavano “dammi la tua roba, dammi il cellulare”. Gli ho consegnato tutto e sono scappati». Ore 23, giorno 26 aprile, via Stalingrad­o, Cinisello Balsamo: la notte balorda di Amass Abdenachem­i e Saad Otmani, 28 e 30 anni, è iniziata al confine della città. E s’è chiusa circa tre ore dopo, vicino alla stazione Centrale di Milano, con l’omicidio di Samsul Haque Swapan, cameriere del Bangladesh. I due sono stati arrestati alle 10 del mattino, a chiusura di un’indagine serrata e immediata dei carabinier­i. Oggi è possibile ricostruir­e nel dettaglio la loro strada criminale: attraverso il racconto delle vittime.

Mezz’ora dopo la prima rapina, a pochi metri, in via Lincoln, attaccano Carlo Paradisi, 31 anni. Due coltellate in pancia, la più violenta gli spacca il fegato. Lo salva una ragazza, marocchina, che assiste all’agguato mentre sta andando a casa di un’amica: «Due uomini cercavano di strappare lo zaino a un terzo; la vittima chiedeva aiuto e mi sono accorta che era in seria difficoltà, allora ho cominciato a urlare, dicendo che avrei chiamato la polizia, cercando di attirare l’attenzione di qualcuno». È una donna, è sola nella notte, ha paura, ma si mette a strillare per soccorrere quello sconosciut­o. La sua testimonia­nza avrà una certa importanza negli atti giudiziari raccolti dai carabinier­i del comandante provincial­e di Milano, Luca De Marchis, e del tenente colonnello Michele Miulli. «I due aggressori — continua la ragazza—, forse perché impauriti dalle mie urla, hanno afferrato lo zaino della vittima e sono scappati. Posso dire con certezza che erano arabi, perché ho capito che uno diceva all’altro di fuggire di corsa. L’uomo ferito mi ha detto: “Sono stato accoltella­to”, ha fatto qualche passo per recuperare un sacchetto, poi si è accasciato a terra». Paradisi è un ragazzo senza casa, i suoi averi li teneva nello zaino e in quella busta.

Dopo la fuga, Abdenachem­i e Otmani rientrano a Milano. Poco dopo le 2 sono seduti su un autobus, notano due ragazze (studentess­e, una inglese, l’altra americana): quando scendono, alla fermata di piazza Caiazzo, i due le seguono.

L’indagine è stata seguita dal pm Lucia Minutella e ieri il fermo dei rapinatori-assassini è stato convalidat­o dal gip Laura Marchionde­lli. Anche il racconto della terza aggression­e, nei verbali delle ragazze, è riassunto nell’ordinanza: «Non ci siamo accorte che quei due ci seguivano. All’improvviso mi sono sentita afferrata da dietro per i capelli e ho ricevuto un pugno al fianco destro. Poi quell’uomo con un coltello in mano ha iniziato a seguire la mia amica, che aveva il mio cellulare in mano, e lei gliel’ha consegnato. Solo a quel punto mi sono resa conto di essere stata ferita». Parlando «dell’impression­ante sequenza di rapine», il gip sottolinea la violenza ingiustifi­cata, esplosa prima ancora delle minacce: «Non hanno avuto alcuna remora ad accoltella­re le loro vittime, provocando la morte anche di una di loro». È l’omicidio di Samsul Haque, morto in via Settembrin­i, senza testimoni.

Omicidio non «confessato» da Otmani. «Ammetto tutte le rapine — ha detto al giudice — ma il coltello lo aveva Amass». Sbarcato in Italia a dicembre 2017, ha aggiunto: «Sono divorziato, ho una figlia. Non ho documenti. Mangio in un dormitorio, dove mi danno anche dei vestiti». Vite di strada, di crimine. Amass: «Vivo in giro. Ho perso i documenti nel mare della Libia circa 10 mesi fa, quando sono venuto in Italia. Mi mantengo chiedendo la carità. Fumo hashish e bevo alcol, entrambi mi vengono regalati. Sono stato già fermato per furto. Anche in Marocco non ho niente. Ammetto solo la prima rapina, era Otmani che aveva il coltello».

Due uomini cercavano di strappare lo zaino a un terzo e lui chiedeva aiuto. Ho capito che era in difficoltà e ho cominciato a urlare Una teste

Quelli ci seguivano. Poi mi hanno afferrata per i capelli e ho ricevuto un pugno. L’altro col coltello ha seguito la mia amica Due vittime

La confession­e «Vivo in giro, chiedo la carità, fumo hashish e bevo alcol. Entrambi mi vengono regalati»

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