Corriere della Sera

Poteri magici e proprietà privata Ecco perché il matriarcat­o lascia il posto al potere maschile

- Di Guido Ceronetti paolo.mieli@rcs.it

stere Tiberio a Capri per ben sei anni — fu acclamato imperatore in un’atmosfera di giubilo generale. I Romani vedevano in lui «un Germanico redivivo», era «il principe sognato da gran parte dei provincial­i», l’astro dei soldati che lo avevano conosciuto bambino con le caligae di cui al suo soprannome (i sandali militari) e «l’idolo della plebe urbana». Caligola si presenta al Senato con un discorso critico nei confronti del suo predecesso­re, unanimemen­te apprezzato al punto da essere successiva­mente letto in pubblico una volta ogni anno.

Abolisce, Caligola, la lesa maestà e annuncia di aver bruciato gli atti di accusa lasciati da Tiberio «per non lasciar spazio a tardive vendette». Sette mesi dopo, a metà ottobre del 37, giunge però il primo segno del suo squilibrio mentale: si ammala gravemente, teme di morire e nomina come erede Drusilla sorella e concubina (a dispetto del fatto che fosse moglie di Emilio Lepido, anch’egli peraltro amante del principe). «Una scelta quanto mai stramba», la definisce Carandini. Dopodiché Caligola sopravvive e muore invece Drusilla. Qui l’imperatore impazzisce: decreta che il giorno natale di Drusilla sia considerat­o festivo, le dedica un culto speciale con venti sacerdoti, le fa erigere statue nella Curia e nel tempio di Venere. Al senatore Livio Gemino — che sostiene di averla vista salire in cielo — viene

Le cause più frequenti del passaggio dal matriarcat­o al patriarcat­o sono fondamenta­lmente due: in primo luogo «lo sviluppo della proprietà privata di carattere duraturo, la ricchezza e il desiderio del maschio, costituzio­nalmente predatore, di d

Il fratello L’ascesa al trono di Caligola fu accolta con gioia da tutti, ma poi il sovrano diede prova di squilibrio mentale e di una estrema crudeltà

Il secondo marito Claudio era malandato e debole, incerto e pavido, ma si dimostrò un imperatore saggio e intelligen­te, vittima delle trame di palazzo concessa una regalia di un milione di sesterzi. Da quel momento Caligola non dorme mai più di tre ore per notte, prende a conversare con la luna, è tormentato da uno spettro marino, tuoni e fulmini notturni lo terrorizza­no al punto da indurlo, ad ogni temporale, a cercare riparo sotto il letto. Di giorno non tiene in alcun conto gli impegni presi all’atto dell’insediamen­to e supera Tiberio in «condanne e dissolutez­ze». Nel 38 costringe al suicidio il prefetto Macrone, che lo aveva aiutato a uccidere Tiberio, nonché la moglie di Macrone, Ennia, che era oltretutto la sua amante. Poi, dopo una lunga sequela di nuovi assassinii, nel 39 fa uccidere Marco Lepido (altro suo amante) e manda in esilio, sempre a Ventotene, sua sorella Agrippina, la protagonis­ta del libro di Carandini.

Npossederl­a e di trasmetter­la ai suoi discendent­i […]. L’altro e più frequente motivo è il desiderio di impossessa­rsi del monopolio di certi poteri magici considerat­i nei tempi primitivi come uno specifico attributo delle donne. Quando la proprietà

el 40 Caligola raggiunge la Gallia e la Germania accompagna­to da pretoriani, attori, gladiatori, donne e cavalli: «una compagnia assai poco eroica», la definisce Carandini. Ed è qui che un figlio del re dei Britanni, cacciato dal padre, cerca rifugio da Caligola con una piccola scorta e a lui si sottomette: ciò che induce Caligola a «mandare una lettera a Roma come se avesse conquistat­o la Britannia». Tornato a Roma, dopo questo «trionfo», prende ad esibirsi come gladiatore, cocchiere, ballerino e cantante. Annuncia di volersi trasferire

ad Anzio da dove raggiunger­à Alessandri­a. Nel 40 Caligola sventa una congiura, ma quasi non fa in tempo a gioirne perché l’anno successivo una nuova cospirazio­ne contro di lui è coronata da successo.

Cprivata comincia ad acquistare importanza […] il passaggio dall’ordine matriarcal­e a quello patriarcal­e avviene in genere molto rapidament­e. Arturo Schwarz La donna e l’amore al tempo dei miti (Garzanti, 2009)

aligola aveva 29 anni, era stato imperatore per quasi quattro. Nessun principe come lui, scrive Carandini, «è stato un despota tanto estremo», ha mostrato «dove possa giungere la crudeltà e la stravaganz­a di chi possiede una potenza immane». La «sua mente disturbata, l’inesperien­za militare, politica e pratica, la passione per la scena lo hanno trascinato in una fragorosa assurdità nella quale tragedia e farsa si sono mescolate». Con lui giunge al culmine il «gusto per l’arbitrio» delle monarche orientali. Può essere considerat­o «l’esatto contrario di suo padre, Germanico», avvelenato «perché onesto e clemente», le virtù «più invidiate e temute dai potenti». Probabilme­nte superò in efferatezz­a lo stesso Tiberio e convinse i Romani a fidarsi meno dei prìncipi che, saliti al potere, annunciano un’era di pace e prosperità.

Dopo di lui toccò a Claudio, fratello di Germanico, zio e, successiva­mente, marito di Agrippina. Claudio aveva difetti fisici congeniti: soffriva di crampi allo stomaco, camminava con passo incerto e balbettava. Aveva «tratti che lo rendevano ridicolo»: «tremava con il capo, le mani e la voce», rideva in maniera sguaiata, la bocca sbavava ad ogni arrabbiatu­ra. Era poi incerto e pauroso. Ma questi difetti, secondo Carandini, erano bilanciati da un’intelligen­za non comune, aveva studiato moltissimo alla scuola di Tito Livio ed era assai colto. Il suo primo atto fu di richiamare Agrippina dall’esilio, dichiarare che Caligola era pazzo e, contestual­mente, mandare a morte i suoi uccisori.

Agrippina torna dunque a Roma con Lucio Domizio Enobarbo (il futuro Nerone) in una corte dove, però, spadronegg­ia Messalina, moglie di Claudio. La prima missione che Agrippina si dà è quella di far fuori Messalina. Per poi andare in sposa a Claudio, far richiamare il filosofo Seneca dall’esilio in Corsica per affidargli il proprio ragazzo, e porre il giovane sulla via che conduce al trono (sminuendo il possibile rivale Britannico). Claudio si accorge delle complicate trame di Agrippina, ma non fa in tempo a pentirsi di aver adottato Nerone che muore avvelenato. Qui vengono le pagine più avvincenti del libro di Carandini. Agrippina non cessa di tramare (stavolta a favore di Britannico), mentre Seneca fa di tutto per impadronir­si dell’anima di Nerone. Questi si inebria del rapporto con la folla (oltre che della schiava asiatica Atte) e, su istigazion­e di Seneca, si spingerà a far uccidere la madre. Dopodiché nel 65 indurrà al suicidio lo stesso filosofo (il quale, annota Carandini, aveva «una condotta contraria al disprezzo della ricchezza che nei suoi scritti invece consigliav­a»). Tre anni dopo, nel 68, sarà Nerone, all’età di trent’anni, ad esser costretto a suicidarsi. Solo ripercorre­ndo la storia di sua madre si può capire come si giunge a quella fine. Anzi, della fine di tutti gli eredi della gens Giulio-claudia. Un libro davvero affascinan­te su una delle stagioni più spietate della storia dell’umanità.

 ??  ?? La fine Nerone davanti al corpo di Agrippina, un dipinto dell’artista Luca Ferrari, detto Luca da Reggio (16051654) conservato alla Galleria Estense di Modena. Secondo lo storico Tacito l’imperatore fece uccidere la madre da due sicari armati di mazze, che entrarono nella sua villa presso Napoli nel 59 dopo Cristo
La fine Nerone davanti al corpo di Agrippina, un dipinto dell’artista Luca Ferrari, detto Luca da Reggio (16051654) conservato alla Galleria Estense di Modena. Secondo lo storico Tacito l’imperatore fece uccidere la madre da due sicari armati di mazze, che entrarono nella sua villa presso Napoli nel 59 dopo Cristo
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