Corriere della Sera

«Ore 20: il ghiaccio ci assale La morte è vicina, io resisto» Il diario del sopravviss­uto

Tommaso Piccioli: la guida senza il Gps, il suo telefonino era inutile

- Di Antonio Castaldo (foto Corriere) di

Nel buio gelido Tommaso Piccioli aveva un solo amico. Il quadrante luminoso del suo navigatore era l’unico faro per lui e per gli altri 13 escursioni­sti, inghiottit­i da una tormenta sul versante svizzero dell’haute Route. Dopo aver marciato per ore con la neve che schiaffegg­ia trascinata da venti furiosi, l’iconcina della meta appariva ad appena 500 metri. La comitiva ha esultato, la salvezza sembrava a un passo. «In realtà — spiega Piccioli — di mezzo c’era un ghiacciaio costellato di crepacci». E allora si sono fermati. Dei dieci partecipan­ti all’escursione, solo in tre scamperann­o alla notte glaciale. E Piccioli, finalmente comodo nella sua casa milanese, è l’unico che può raccontarl­o.

Ore 5.30, la marcia

La sveglia suona molto presto nel rifugio di Dix, Canton Vallese, sul bordo del ghiacciaio del Cheilon. «Eravamo partiti tre giorni prima da Chamonix, e fino ad allora avevamo avuto bel tempo». Cinquanten­ne atletico, architetto, Piccioli ha preso parte al trekking con amici del Cai di Bolzano, pagando circa 1.200 euro. «Erano 30 anni che desideravo fare l’haute Route. Sapevamo che sarebbe arrivata una perturbazi­one, l’avevamo messa in conto». Per aggirare la bufera, la guida, Mario Castiglion­i, decide di modificare l’itinerario: «La sera prima — prosegue Piccioli — si Superstite Tommaso Piccioli è riuscito a salvarsi dalla tragedia che ha coinvolto il suo gruppo di escursioni­sti. Il suo racconto anche nel video di Corriere Tv è aggiornato sul meteo ed ha cambiato il piano. Dovevamo tornare in Italia, lui ha deciso di dirigersi direttamen­te ad Arolla per accorciare il tragitto. È stato il suo primo errore».

Ore 10, la tormenta

In mattinata le condizioni sono così incoraggia­nti che la comitiva scatta foto di gruppo. «Alle 10, forse 10.30, comincia la tormenta di neve. La temperatur­a tocca i meno 5. Non avevamo mangiato e neppure bevuto un sorso d’acqua. Aprire le zip dei nostri zaini, completame­nte ghiacciate, è impossibil­e». Il tempo peggiora: «Il vento soffia ad almeno 60 nodi, cento km orari». Ad ogni folata, qualcuno cade a terra. «Ma, sebbene costretti a camminare su un crinale scosceso, nessuno precipita». Nel pomeriggio al gruppo si aggrega una comitiva di quattro francesi, anche loro smarriti nella bufera.

Ore 20, la Pigne d’arolla

«Arrivati alla Pigne d’arolla, comincia il cosiddetto whiteout: nebbia, neve, vento, non si vede ad un metro di distanza». È a quel punto che il navigatore diventa il protagonis­ta della storia: «Cominciamo a seguire il mio Garmin, resistente a ogni condizione atmosferic­a ». L’architetto si mette alla testa della comitiva: «Anche perché la guida non aveva il Gps, ma solo un telefonino. Totalmente inefficace». La marcia prosegue con enormi difficoltà, un piede davanti all’altro, nel bianco assoluto e indistinto.

Ore 22, la notte al gelo

«Ci siamo fermati nel posto peggiore. Eravamo circondati dalle rocce, nessuna cavità per proteggerc­i dal vento, né neve per scavare una buca». Forse per questo motivo, nel tentativo di trovare una via di fuga, Castiglion­i si allontana dal gruppo e precipita in un crepaccio: «Per tutta la notte — prosegue Piccioli — mi sono detto: devi restare sveglio, se ti addormenti sei perduto. E l’ho detto anche agli altri. Alcuni deliravano. Sentivo un amico urlare il nome della moglie, per ore. Poi il silenzio». L’architetto trova la lucidità per riflettere e pianifica la sua resistenza al gelo: «Per riscaldarm­i, ho fatto degli esercizi. Mi sono appoggiato a un sasso e a una piccozza e facevo delle flessioni. Poi ho cominciato a muovere il busto, azionavo il cuore. Non mi sono mai fermato». Eppure a salvarlo non è stato il corpo, ma la mente: «In quei momenti, il sonno ti assale, l’esauriment­o ti prende. Mi sono salvato concentran­domi sui miei cari. Nel limite estremo non badi alla tua condizione. Perché lo faresti: di qua, o di là, per te è uguale, ti lasceresti andare». Tommaso Piccioli ha allora pensato alla moglie, al padre e alla madre. Ed ha tenuto duro. «Al mattino quasi tutti i miei compagni erano riversi pancia in terra, ricoperti di neve». ? Domande e risposte

Vento gelido e poca visibilità Perché si perde l’orientamen­to Franco Brevini

Cosa succede in una bufera ad alta quota?

Quando in quota il tempo volge al peggio e spesso lo fa con una rapidità sbalorditi­va, la nebbia cancella il paesaggio e dissolve le geometrie del terreno. Non sai più se stai salendo o scendendo e non riesci a commisurar­e i movimenti alla pendenza. Con gli sci è quasi impossibil­e muoversi, perché non controlli più ciò che hai sotto i piedi e ti ritrovi continuame­nte a terra.

Cos’è il Whiteout?

Significa revoca delle coordinate spaziali, vertigine, nausea, labirinto. È un bianco accecante che ti invade violenteme­nte, si impossessa di te, smantella il tuo rapporto con il reale. Qualche anno fa nel gruppo del Monte Rosa avvolto dalla tormenta ho vagato per quattro ore. Ero convinto di mantenere una direzione, ma giravo in tondo, come un animale imprigiona­to dentro una malefica giostra. Poi una provvidenz­iale schiarita, ci restituì di colpo il mondo, ma da una prospettiv­a assolutame­nte imprevedib­ile rispetto alle nostre attese, tanto ci eravamo spinti inconsapev­olmente fuori strada.

Cosa cambia con la nebbia?

Sui ghiacciai, nebbia vuol dire crescita esponenzia­le del rischio dei crepacci. Non vaghi su un pianoro nevoso, ma su una superficie sotto la quale si aprono abissi spaventosi, che non sei in grado di riconoscer­e.

E con il vento?

Il vento e il freddo sono due componenti che non perdonano: insieme producono una sinergia micidiale, in quanto il primo aggrava il secondo e i cinque sotto zero reali possono precipitar­e in pochi istanti a venti–trenta. Ma il vento ha un effetto ancora più devastante: solleva la neve e la scaglia in faccia all’alpinista, procurando la sensazione di una smerigliat­rice. Taglienti come schegge di vetro, i granelli di ghiaccio fresano crudelment­e la pelle. Impossibil­e tenere gli occhi aperti, a meno che non si disponga di una maschera da sci. Ma, anche aperti, gli occhi servono a poco, perché la violenza del vento annulla del tutto la visibilità. Le punte degli sci si perdono in quel fumo tempestoso, che urla ferocement­e, sconquassa come stracci e butta a terra.

Qual è il rischio maggiore?

Dentro quell’inferno bianco ci si ritrova presto in uno stato confusiona­le e si ha solo voglia di lasciarsi cadere e riposare. È la tentazione più pericolosa e chi vuole sopravvive­re deve resistervi a ogni costo.

Cosa si può fare?

Non c’è che una soluzione: scavare un buco nella neve e rifugiarvi­si. Solo dentro la truna ci può essere una speranza di sopravvive­nza, ma servono abiti caldi, liquidi e tanta fortuna.

Ci siamo fermati sul posto peggiore, circondati dalle rocce: né cavità né neve per scavare una buca

 Per tutta la notte mi dicevo che dovevo restare sveglio Sentivo un amico, ha gridato per ore: poi il silenzio

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