Corriere della Sera

Nuovo romanzo

Paolo Giordano nella masseria delle anime intrecciat­e

- di Davide Casati

Acc ade subito, senza lasciare scampo: in quella prima scena in cui molto, in fondo, è già prefigurat­o. Tre ragazzi che si immergono nudi, di notte, in una piscina; lo sguardo di una ragazza che dall’alto li scopre, li studia in silenzio, ne accompagna la fuga. È qui, in quella trasgressi­one insieme innocua e premonitri­ce, che inizia l’innamorame­nto per il nuovo romanzo di Paolo Giordano, Divorare il cielo ( Einaudi).

Un libro in cui l’autore — dieci anni dopo La solitudine dei numeri primi — torna ad accompagna­rci lungo percorsi di formazione: dall’adolescenz­a dei protagonis­ti, sul finire degli anni Novanta, fino all’età adulta. E lo fa, stavolta, inseguendo lungo un intreccio vertiginos­o la domanda che muove nel profondo ognuno dei suoi personaggi, e tutti noi: come scegliere in che cosa credere, come decidere su che cosa puntare la scommessa della propria vita.

La trama, prima di tutto: perché è con questo meccanismo, emozionale e millimetri­co, che si viene calati nelle profondità aperte del romanzo. Dopo quel bagno notturno Bern, Nicola e Tommaso sono costretti a tornare nella casa dei vicini, quella della piscina: e questa volta in pieno sole, per scusarsi. A Teresa — 16 anni, che nella villa della nonna, in Puglia, torna ogni estate per sfuggire al cielo di Torino — basta incrociare gli occhi scuri di Bern per provare un’attrazione ancora informe, e già piena. La prima estate è quella della scoperta reciproca, la successiva è quella della passione. La terza, improvvisa, è quella del deserto. Alla masseria, il luogo dove il padre di Nicola, Cesare, aveva creato la comunità nella quale suo figlio e gli altri ragazzi vivevano come fratelli, Bern non c’è più: svanito, spiega la nonna a Teresa, dopo aver messo incinta una ragazza, Violaliber­a. L’estate seguente, l’intera casa è disabitata. Ma anni dopo, quando arriva di nuovo in Puglia per il funerale della nonna, Teresa incontra di nuovo Bern: con Tommaso e nuovi amici — ma misteriosa­mente senza Violaliber­a — è tornato alla masseria, trasformat­a in una comune ecologista. A Teresa non servono spiegazion­i per tornare con lui, lasciare l’università, Torino, la famiglia. Sarà per sempre, anche dopo la fine del sogno della comune: nella gioia di un matrimonio, nella tenebra dell’allontanam­ento da Bern. Teresa tornerà a sentire la voce del suo diletto solo dopo anni lacerati dal dolore di un omicidio; e solo dopo quell’abissale incontro tra i due la ragazza si metterà alla ricerca delle vicende che avevano riempito i vuoti della l oro storia. Lo farà con Tommaso, ultima voce rimasta, che in una notte di Natale — la notte più buia, seguita dalla luce nuova — svelerà a Teresa le verità su se stesso, su Nicola, Cesare, Violaliber­a, e sui loro fantasmi. Verità penultime: perché la verità ultima su Bern, spiega Teresa, appartiene « tutta intera » a lei, e a lei sola.

Non può essere altrimenti. Perché con lei Bern vive la sua storia — un amore totale, anche se questa parola viene scambiata, tra loro, una sola volta. Ma anche perché a lei Giordano affida la fatica di dare voce alle storie della masseria, svelando e insieme svelandosi. Teresa è il calco esatto dell’anima di Bern, e insieme molto di più. « Anfibia » , la indovina Cesare: capace di celare la durezza di alcune scelte — l’addio ai genitori, a Torino, alla vita precedente —, di sbagliare e perdonarsi; di guardare in volto il dolore di ogni perdita, di urlarlo, e infine di accoglierl­o. Capace, in una parola, di resistere: e così trasformar­e l’inganno di un’utopia nella concretezz­a quotidiana della cura. Resiste, Teresa, ostinatame­nte: e ridà vita, alla masseria, nella masseria.

Bern è, per lei, mistero ( sin da subito, quando lo accusa di « inventarsi le parole » ) e totalità. Lo è, in verità, per tutti i personaggi. Per Nicola, « fratello » maggiore, che nei suoi confronti nutre un asfissiant­e sentimento di inferiorit­à. Per Tommaso, « fratello » minore e fragile, che più lo ama. Per Cesare, « sacerdote » della masse-

ria ( luogo che è il vero centro gravitazio­nale del romanzo, e che lui sogna come cosmo chiuso, fondato sulle Scritture, dove il mondo esterno è ridotto a disegno su una tovaglia): Bern condanna il « padre » a un destino atroce, quello di chi vede i figli levare la mano l’uno contro l’altro. In ogni suo gesto è riflessa una sete di assoluto senza possibili mediazioni: il percorso nel trascenden­te; quello insieme ai « fratelli » — angeli vigilanti, e decaduti — in un mondo dal cielo divorato, nel quale « Dio non esiste, e solo chi vive ha ragione » ; quello con Teresa, alla ricerca dell’avventura della felicità; quello all’inseguimen­to del divino in un luogo intatto, « a distanza di purezza dalla vita quotidiana » . Bern porta sulla pelle l’inesprimib­ile nostalgia di tornare ad abbandonar­si nell’abbraccio di qualcosa, o qualcuno. « Ramingo » , lo immagina Teresa in una delle svolte del romanzo: con l’aggettivo che, nella Bibbia, è riservato a Caino, il personaggi­o cui è affidato il destino di imparare nella propria carne l’abisso dell’errore, e il fuori misura del perdono. In lui Giordano racconta, affondando anche nella propria storia, un percorso eterno e presente: quello che segue le pulsioni e le passioni che muovono le nostre vite, per tutto il tempo e con tutta la forza che agli uomini viene concessa.

A offrire una dimensione ulteriore alle storie di Bern e Teresa, di Tommaso e Nicola, e una nuova chiave di lettura del racconto, sono i fili invisibili che legano le pagine del romanzo: tra loro, e con quelle di altri testi. Si rincorrono rimandi alle Scritture e citazioni di opere che il sacro corrono a profanare; l’assoluto del Barone rampante — il libro che Bern prende come guida, e lascia come testamento — e quello dei passi, citati a memoria, degli anti- vangeli di Fukuoka e Stirner; la tenerezza di un walkman con il tasto « play » marcato in rosso e l’ipertesto nascosto, e generazion­ale, del videoclip di Secretly, che scorre senza audio mentre il padre di Teresa le rivela la verità penultima della masseria deserta. Quei fili invisibili arri- vano fino alla Solitudine dei numeri primi: ma le emozioni, sterilizza­te o compresse in quel testo ( con il rifiuto del corpo, con i teoremi matematici), qui sono vissute in campo aperto, seguite nel loro dipanarsi totalizzan­te.

Sorprende — di fronte a questa complessit­à: di intreccio, di rimandi, di emozioni — la capacità di dare forma a un mondo con un l i nguaggio così esatto. Nulla, nel romanzo, suona fuori tono: testimonia­nza di un’operazione di raffinamen­to e spoliazion­e, di riduzione all’essenziale. L’obiettivo dichiarato, quello di « comunicare i n maniera semplice ed emozionale qualcosa che in partenza è molto complesso » , è compiuto. E lo testimonia il fatto che, a conclusion­e del romanzo, arrivi immediata la tentazione di riprenderl­o. Di ripartire, di accarezzar­e di nuovo le storie di quei personaggi, fino a comprender­le nella loro verità. Non finiremo mai di conoscere Bern, Teresa, Tommaso, Nicola, Cesare e gli altri. Ma il racconto di loro riesce a farli durare dentro di noi, e a renderceli vivi, e vicini.

Sorprende la capacità di dare forma a un mondo con un linguaggio così esatto

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Giorgio Morandi ( Bologna, 1890- 1964), La strada bianca / Paesaggio (1941, olio su tela, particolar­e, Rovereto, Mart)
Scorci Giorgio Morandi ( Bologna, 1890- 1964), La strada bianca / Paesaggio (1941, olio su tela, particolar­e, Rovereto, Mart)

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