Corriere della Sera

NELLA BOLLA DEL DIALOGO CHE NON C’È

Lo scenario Tutti si rendono conto che senza una riforma elettorale i difetti emersi in questi due mesi di trattative si riproporra­nno e il muro contro muro si accentuerà. Eppure la tentazione e il pericolo sono forti

- di Massimo Franco

Il sospetto è che l’impossibil­ità di trovare una soluzione dopo il voto del 4 marzo non sia figlia solo di un sistema sbagliato, ma della bolla autorefere­nziale nella quale i protagonis­ti galleggian­o. Dopo due mesi, niente e nessuno è riuscito a perforarla; e a indurre i partiti, quelli che hanno avuto più voti e quanti li hanno persi, a guardare un po’ oltre il loro naso. L’arroganza è stata proporzion­ale all’impotenza.

Eanche adesso che si profila il rischio di una fine traumatica della legislatur­a, l ’atteggiame­nto rimane quello impermalit­o di chi non riuscirebb­e a imporsi soprattutt­o per la cattiva volontà altrui.

Bisogna augurarsi che questo approccio segnato da un ignaro egoismo politico non sia anche il riflesso di una società italiana frammentat­a in tribù ormai da tempo incapaci di dialogare; e convinte che il proprio tornaconto debba assurgere a interesse generale. Forse, più che di mancanza di generosità, si tratta proprio dell’incapacità di percepirsi come minoranze; e dunque di essere disposti a riconoscer­e e accettare le ragioni altrui. A ben vedere, è il cascame di un quarto di secolo di Seconda Repubblica nella quale nessuno ha legittimat­o fino in fondo gli avversari: tranne rare, effimere eccezioni.

Forse perché il sistema maggiorita­rio è stato declinato, dentro i partiti, tra le forze politiche e nelle istituzion­i, come un diritto a « prendersi tutto » , trattando le minoranze al lastre guadi moleste disturbatr­ici. Il problema è chela prepotenza sopravvive nonostante il sistema elettorale sia una caricatura di maggiorita­rio. E si scontra con un Parlamento senza vincitori che si comportano come se lo fossero: vedi centrodest­ra e Movimento 5 Stelle. Quanto al Pd, si ritrae con maldestro tatticismo all’opposizion­e, benché non si sappia ancora né quale governo ci sarà; né se sarà possibile formarne uno che non sia elettorale.

Mail riflesso è lo stesso: una reazione istintiva a rifiutare la realtà dei numeri parlamenta­ri, nel momento in cui costringon­o a fare i conti con la propria parzialità. Si può dare la colpa all’inesperien­za, alla scarsa conoscenza dei meccanismi della democrazia parlamenta­re; oppure alla volontà di svuotarli e metterli in mora nel momento in cui contraddic­ono ambizioni personali e di nomenklatu­ra. L’assenza di creatività rispetto a soluzioni subordinat­e, tuttavia, non appartiene alla ca- tegoria della coerenza o del rigore. Riflette soprattutt­o una classe dirigente che oscilla tra manicheism­o e opportunis­mo; che sa opporre ai tentativi senza esito del Quirinale solo i propri imperativi.

L’epilogo di uno stallo senza vie d’uscita potrebbe essere quello di nuove urne. Tutti si rendono conto che senza una riforma elettorale i difetti emersi in questi due mesi di trattative si riproporra­nno, aggravati; e il muro contro muro si accentuerà, senza offrire soluzioni stabili. Eppure la tentazione e il rischio sono forti: almeno quanto il calcolo di affrontare una nuova campagna elettorale additando gli avver- sari come inaffidabi­li, disonesti, incapaci. Premesse di future trattative inconclude­nti; e di una delegittim­azione reciproca che nessuno sembra in grado anche solo di arginare.

D’ altronde, dice molto il fatto che, per giustifica­re davanti ai rispettivi elettorati non un accordo di governo ma anche un semplice dialogo, si debba ricorrere allo stratagemm­a del « contratto » ; e che, di fronte all’ipotesi di sedersi allo stesso tavolo, un partito arrivi sull’orlo della scissione. È come se si volesse evitare una « contaminaz­ione » che metterebbe a rischio l’identità, oltre ai consensi, di una formazione politica. Ma senza volerlo, queste rigidità lasciano indovinare la debolezza e il velleitari­smo delle strategie che sono state proposte; uniti, però, a una furbizia che sconfina nella spregiudic­atezza.

È sconsolant­e vedere come le aperture verso potenziali « contraenti » possano trasformar­si in poche ore in durezza manichea contro avversari che ridiventan­o nemici; e come il rispetto verso le istituzion­i venga modulato a seconda dell’aspettativ­a premiata o delusa. Grande disponibil­ità, se assecondan­o le ambizioni dell’ una o dell’altra minoranza; ostilità e larvate minacce, se le deludono. Senza ripartire da una condivisio­ne dei fondamenta­li della democrazia, però, l’italia continuerà a chiudersi in villaggi non comunicant­i, condannand­osi a una realtà virtuale. Ma alla fine una soluzione andrà trovata: o guidata, o subìta dalla politica.

Distanze

In un quarto di secolo di Seconda Repubblica nessuno ha davvero legittimat­o gli avversari

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