Le polpette ? Sono svedesi turche
Dopo 3 secoli Stoccolma ammette: ricetta importata Ankara: «Ora l’ikea non le chiami più köttbullar»
Una polpetta a ciel sereno: a lanciarla, senza apparente ragione diplomaticoculinaria, è stato il governo di Stoccolma. Un’ammissione dall’account ufficiale di Twitter: le köttbullar, il piatto nazionale del Paese scandinavo, non sono svedesi. Da dove vengono allora quei due milioni di palline di carne vendute ogni giorno all’ Ikea e considerate simboli identitari al pari di Pippi Calzelunghe, gli Abba e il welfare? « In verità le köttbullar derivano da una ricetta che re Carlo XII portò in patria dalla Turchia, all’ inizio del ‘700. Questi i fatti! » .
Fatti indigesti o gustosi, dipende dalla latitudine dei palati. Sorpresa in Svezia, tripudio in Turchia. Lassù al Nord c’è chi è arrivato a twittare: « Tutta la mia vita è stata una bugia » . Altri l ’ hanno presa con ingorda filosofia: « L’importante è strafogarsi » . Mentre a Inegol, la capitale turca delle köfte ( ne esistono 300 varianti), lo chef Ibrahim Veysel ha dato voce all’orgoglio nazionale, spruzzato di cosmopolitismo :« Un onore condividere questa delizi a con le cucine di tutto il mondo » .
Forse il governo svedese ha fatto questa ammissione per contrastare la strisciante xenofobia verso i migranti? Veramente qualche nazionalista dei fornelli, in Anatolia, ha chiesto un ulteriore passo a Stoccolma: un cambio del nome. Via köttbullar, avanti köfte. E Serdar Cam, presidente dell’agenzia turca perla cooperazione, ha intimato all’ikea di non smerciare più le suddette polpette come pro- dotto svedese. Ma la cucina, si sa, migra per definizione. Persino ilf rance sis simo croissant è l’ evoluzione di un dolce austriaco. Qualcuno si sognerebbe di entrare in un caffè di Parigi e chiedere un kipfel?
La « confessione » degli svedesi ha prodotto una divertita curiosità in Turchia. L’agenzia Anadoly ha contattato Annie Mattson, professoressa all’ università di Uppsala, che ha raccontato « i fatti » . Dopo aver perso una battaglia contro i russi nel 1709, re Carlo e i superstiti del suo esercito trovarono rifugio in quella che oggi è la Moldova, allora parte del- l’impero Ottomano. Prima di tornare in patria nel 1714, il re passò sei anni di « polpettoso » esilio fra i « turchi » . Forse per farsi perdonare le sconfitte, forse per nostalgia, si portò a casa la ricetta di quelle palline di manzo e agnello, che piacquero così tanto ai connazionali da diventare il piatto più popolare ( l e köttbullar, appunto) e un elemento forte del kaldomar, un’altra « tradizionale » pietanza a base di cavoli.
Già era noto che il re avesse importato dal Bosforo il gusto per il caffè ( che alla fine del ‘ 700 il successore Gustavo III arrivò a proibire per un breve periodo). Neanche un cam- pione di fake news avrebbe potuto spacciare il caffè per bevanda nordica. Con la polpetta è stato più facile. Ma l’ammissione, pur tardiva, è da lodare. Il mondo è già pienodi diatribe, ancheg astrodiplomatiche: Australia e Nuova Zelanda litigano sulla primogenitura della pavlova, Libano e Israele si contendono l’hummus, Cile e Perù la patata, il kimchi divide due alleati come Giappone e Sud Corea. La cucina non sempre unisce. Il pollo alla Kiev, caro ai russi, non ha impedito a Putin di fare brutte cose in Ucraina. E se Stoccolma chiedesse ad Ankara, in cambio della paternità delle polpette, una bella grattugiata di libertà per i giornalisti turchi?