Perché dopo anni di lavoro la riforma delle carceri è a rischio
Se la riforma dell’ordinamento penitenziario è fortemente a rischio, la responsabilità è del governo di centrosinistra ( formalmente ancora in carica « per gli affari correnti » ) che non ha avuto la volontà e la determinazione di portare a compimento ciò che aveva costruito e approvato in un lungo percorso durato quasi tre anni. I decreti che estendono la possibilità di godere di alcuni benefici e misure alternative a un maggior numero di detenuti ( ma non a mafiosi e terroristi, senza automatismi e sempre sotto il controllo della magistratura) sono stati infatti approvati solo il 16 marzo scorso, cioè dopo le elezioni che hanno san- cito la sconfitta della maggioranza che soste- neva l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, nonostante ci fosse ancora bisogno di un ultimo passaggio parlamentare. Il motivo fu il timore che l’approvazione di un simile provvedimento prima del voto potesse far perdere consensi al Partito democratico e ai suoi alleati; con il risultato che il Pd è uscito ugualmente sconfitto dalle urne, e ora in Parlamento non c’è più la maggioranza favorevole alla riforma. Anzi, i due vincitori, centro- destra e Cinque stelle, sono dichiara- tamente contrari, seppure con motivazioni parzialmente diverse. Ma questo conterebbe poco, giacché trascorsi dieci giorni dalla trasmissione dei decreti, il governo potrebbe comunque approvarli definitivamente e mandarli al Quirinale per la firma che li renderebbe esecutivi. Il quesito tecnico da risolvere è da quando decorrono i dieci giorni: l’esecutivo, spinto dal ministro della Giustizia Orlando ha sollecitato le nuove Camere a mettere i decreti all’ordine del giorno della cosiddetta commissione speciale, ma la decisione spetta alla conferenza dei capigruppo di Montecitorio; se ciò non avvenisse a breve, si potrebbe ugualmente considerare trascorso il periodo previsto dalla legge e procedere con l’emanazione definitiva? È un problema di diritto parlamentare, al quale se ne aggiunge uno di tipo politico forse più rilevante: può un governo senza maggioranza procedere comunque su un tema che difficilmente si può considerare di ordinaria amministrazione? Gli avvocati hanno fatto due giorni di sciopero per ottenere questo risultato, e ieri in un convegno organizzato dall’unione camere penali ( al quale hanno partecipato fra gli altri l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flik, il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, la leader radicale Rita Bernardini che da anni si batte per i diritti dei detenuti e il Garante nazionale Mauro Palma) hanno sollecitato governo e Parlamento ad accelerare i tempi e dare corso a una riforma che « non è uno svuotacarceri, ma incide positivamente sulla sicurezza per i cittadini » , come spiega il presidente dei penalisti Beniamino Migliucci. È infatti statisticamente provato, insistono gli avvocati, che una detenzione più aperta a benefici e misure alternative diminuisce la tendenza dei reclusi a tornare a delinquere. « E del resto chiediamo al governo di avere semplicemente il coraggio di dare seguito a ciò che ha già deliberato » , invoca il presidente della Camera penale di Roma Cesare Placanica. Ma il tempo stringe, e forse non è più solo una questione di coraggio. Che serviva prima delle elezioni.