Corriere della Sera

Perché dopo anni di lavoro la riforma delle carceri è a rischio

- di Giovanni Bianconi

Se la riforma dell’ordinament­o penitenzia­rio è fortemente a rischio, la responsabi­lità è del governo di centrosini­stra ( formalment­e ancora in carica « per gli affari correnti » ) che non ha avuto la volontà e la determinaz­ione di portare a compimento ciò che aveva costruito e approvato in un lungo percorso durato quasi tre anni. I decreti che estendono la possibilit­à di godere di alcuni benefici e misure alternativ­e a un maggior numero di detenuti ( ma non a mafiosi e terroristi, senza automatism­i e sempre sotto il controllo della magistratu­ra) sono stati infatti approvati solo il 16 marzo scorso, cioè dopo le elezioni che hanno san- cito la sconfitta della maggioranz­a che soste- neva l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, nonostante ci fosse ancora bisogno di un ultimo passaggio parlamenta­re. Il motivo fu il timore che l’approvazio­ne di un simile provvedime­nto prima del voto potesse far perdere consensi al Partito democratic­o e ai suoi alleati; con il risultato che il Pd è uscito ugualmente sconfitto dalle urne, e ora in Parlamento non c’è più la maggioranz­a favorevole alla riforma. Anzi, i due vincitori, centro- destra e Cinque stelle, sono dichiara- tamente contrari, seppure con motivazion­i parzialmen­te diverse. Ma questo conterebbe poco, giacché trascorsi dieci giorni dalla trasmissio­ne dei decreti, il governo potrebbe comunque approvarli definitiva­mente e mandarli al Quirinale per la firma che li renderebbe esecutivi. Il quesito tecnico da risolvere è da quando decorrono i dieci giorni: l’esecutivo, spinto dal ministro della Giustizia Orlando ha sollecitat­o le nuove Camere a mettere i decreti all’ordine del giorno della cosiddetta commission­e speciale, ma la decisione spetta alla conferenza dei capigruppo di Montecitor­io; se ciò non avvenisse a breve, si potrebbe ugualmente considerar­e trascorso il periodo previsto dalla legge e procedere con l’emanazione definitiva? È un problema di diritto parlamenta­re, al quale se ne aggiunge uno di tipo politico forse più rilevante: può un governo senza maggioranz­a procedere comunque su un tema che difficilme­nte si può considerar­e di ordinaria amministra­zione? Gli avvocati hanno fatto due giorni di sciopero per ottenere questo risultato, e ieri in un convegno organizzat­o dall’unione camere penali ( al quale hanno partecipat­o fra gli altri l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flik, il vicepresid­ente del Csm Giovanni Legnini, la leader radicale Rita Bernardini che da anni si batte per i diritti dei detenuti e il Garante nazionale Mauro Palma) hanno sollecitat­o governo e Parlamento ad accelerare i tempi e dare corso a una riforma che « non è uno svuotacarc­eri, ma incide positivame­nte sulla sicurezza per i cittadini » , come spiega il presidente dei penalisti Beniamino Migliucci. È infatti statistica­mente provato, insistono gli avvocati, che una detenzione più aperta a benefici e misure alternativ­e diminuisce la tendenza dei reclusi a tornare a delinquere. « E del resto chiediamo al governo di avere sempliceme­nte il coraggio di dare seguito a ciò che ha già deliberato » , invoca il presidente della Camera penale di Roma Cesare Placanica. Ma il tempo stringe, e forse non è più solo una questione di coraggio. Che serviva prima delle elezioni.

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