Corriere della Sera

REDDITO DI CITTADINAN­ZA? IL WELFARE DA RIFORMARE

- di Francesco Grillo

« Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni » . La società che Carlo Marx teorizza come compimento della storia, assomiglia, paradossal­mente, a quella che intravedon­o gli imprendito­ri visionari che stanno per scatenare una rivoluzion­e tecnologic­a che può affrancarc­i dall’idea stessa del lavoro come strumento di produzione e distribuzi­one del reddito. Il reddito di cittadinan­za ha una funzione centrale in tutte e due le prospettiv­e e non sarà il fallimento della sperimenta­zione in Finlandia a ridurre la ne- cessità di inventare una rete di protezione che renda possibile all’umanità di usare il potenziale che abbiamo accumulato nelle macchine, riducendo i costi sociali chela trasformaz­ione dei processi produttivi sta già generando.

Il reddito di cittadinan­za è, in effetti, solo un nome sotto il quale va l ’ intero dibattito sulla riforma di quel Welfare che l’economista William Beveridge concepì nel 1942. Va inteso, dunque, non come una singola misura ma come rifondazio­ne di un sistema disegnato per proteggere i lavoratori ( ad esempio, con la cassa integrazio­ne) e legato allo stipendio ricevuto ( come per le pensioni), con l’introduzio­ne di meccanismi di inclusione che arrivano a tutti ( anche ai giovani che nel mercato del lavoro devono entrare) e la cui entità cresce all’a umentare della condizione di difficoltà.

La fattibilit­à di una riforma così ambiziosa, è legata a tre parametri e su di essi si misurano le sperimenta­zioni che in Paesi diversi stanno cercando il meccanismo migliore.

Innanzitut­to, conta l’impatto che il supporto universale ha appunto sulle « capacità » dei beneficiar­i. In teoria, garantire a tutti una protezione significa, come sostengono nel Nord Europa, rendere le persone libere di progettare futuro. Un’assicurazi­one troppo elevata e senza contropart­ite può, però, ridurre la propension­e a cercarsi un lavoro, com’è successo in Finlandia, e spegnere quegli « spiriti animali » di cui l’uomo avrebbe bisogno per crescere.

In secondo luogo, è fondamenta­le che uno strumento automatico sia in grado di misurare bene il « bisogno » . Non solo perché sarebbe uno spreco aiutare chi è già ricco, ma perché i bisogni si diversific­ano tra città, generazion­i, individui. In Kenya e in Brasile sussidi automatici raggiungon­o i contadini in funzione del raccolto; in Canada e negli Stati Uniti meccanismi che uniscono soldi pubblici e privati, permettono nuove avventure creative a scrittori e musicisti.

La terza consideraz­ione è, in termini di efficienza. L’unica questione relativa al reddito di cittadinan­za che in Italia si è discussa, è il costo della proposta presentata dal M5S sul bilancio dello Stato. Tale argomento verrebbe, tuttavia, superato se si assumesse che

Rifondazio­ne

Oltre la singola misura va rifondato il sistema disegnato per proteggere i lavoratori

il reddito di cittadinan­za è sostitutiv­o del sistema di assistenza che già c’è. Assistenza che costa all’italia, anche consideran­do solo l e pensioni, dieci volte di più di una misura come quella proposta in campagna el et tor al e e una percentual­e del Pil superiore a quella di qualsiasi altro Paese europeo.

In realtà un sussidio automatico potrebbe, persino, far risparmiar­e rispetto a politiche che richiedono allo Stato competenze sofisticat­e. È il caso dei programmi di coesione finanziati dalla Commission­e europea per lo sviluppo delle Regioni in ritardo di sviluppo: i n casi di fallimenti ripetuti, potrebbero essere sostituiti con incentivi automatici che raggiungan­o immediatam­ente i beneficiar­i, risparmian­do i l costo di una intermedia­zione che ha, a volte, l’unico effetto di ritardare l’impatto.

Con il reddito di cittadinan­za dovremo fare i conti, perché sono i costi sociali di un progresso non governato, la spiegazion­e del paradosso di una produttivi­tà che ha co- minciato a stagnare, proprio mentre abbiamo i nizi ato a imprigiona­re nelle macchine un enorme potenziale. Ed è per questo motivo che proposte di questo genere hanno attraversa­to destra e sinistra, mettendo insieme teorici del socialismo scientific­o e consiglier­i di Reagan. Nel futuro, tuttavia, non si entra con una singola legge o imponendo su una società in evoluzione un disegno razionale costruito su ipotesi che non valgono più. Ma attraverso un processo di sperimenta­zione, valutazion­e e apprendime­nto che riguarda tutti. La sfida è quella di prepararsi a un mondo nel quale le politiche di piena occupazion­e si separano dalla battaglia dell’inclusione e del contrasto della povertà. L’utopia di un mondo liberato dal lavoro, si trasformer­ebbe, però, in un incubo se immaginass­imo di usare il balzo di produttivi­tà che l’intelligen­za artificial­e può regalarci, per fare del cittadino di una società così evoluta, il pigro fruitore di un benessere che non sarà più necessario conquistar­si.

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