I SIGNIFICATI SIMBOLICI DEL GIRO IN ISRAELE
Caro Aldo, sono felice che il Giro d’italia partirà da Gerusalemme. Così Israele potrà mostrare a tantissima gente non solo la sua capacità organizzativa, ma non le pare strano fare iniziare il Giro d’italia in un Paese che non è l’italia? Ho avuto il piacere di parlare con Gino Bartali. Era una persona aperta, affabile e gradevole. Ero rimasto impressionato dalla sua modestia!
Cari lettori,
Far partire il Giro d’italia da Israele è una scelta carica di significati simbolici, per una serie di motivi. Dà uno slancio internazionale a una competizione che negli ultimi tempi era scivolata troppo sotto il Tour de France, con cui si deve confrontare. Tiene Israele dentro il circuito europeo e mediterraneo dello sport, com’è giusto che sia, senza di per sé esprimere un giudizio sulla politica del suo governo. Rappresenta un segnale per la comunità ebraica italiana ed europea, giustamente inquieta per le tensioni in Medio Oriente e per l’immigrazione islamica incontrollata in Occidente. Apre una finestra ai nostri sportivi: conosco poco il mondo del ciclismo, ma posso assicurarle che i nostri calciatori — tranne rare eccezioni — hanno una mentalità da provincia, non sanno l’ inglese, non hanno capitol’ im portanza della comunicazione nello sport moderno. E offre l’ occasione per ricordare la splendida figura di Gino Bartali.
Aveva già vinto il Giro ( due volte) e il Tour, quando l’italia fu investita dalla tempesta della guerra. L’arcivescovo di Firenze, Elia Dalla Costa, Giusto tra le Nazioni per aver salvato centinaia di ebrei, aveva biso- gno di qualcuno che potesse andare in bicicletta da Firenze ad Assisi, dove nel convento di clausura delle clarisse di San Quirico erano nascosti ebrei in attesa di documenti falsi. Bartali era perfetto. Il cardinale gli chiese di nascondere le carte nella canna della bicicletta e di portarle alla madre superiora, Maria Giuseppina Biviglia. Lui chiese solo: « Se mi beccano cosa mi fanno? » . Dalla Costa rispose: « Ti fucilano sul posto » . Gino Bartali partì. Vi assicuro, cari lettori, che né l’arcivescovo di Firenze, né la madre superiora, né tanto meno il cattolicissimo Gino Bar tali erano bolscevichi. Sono donne e uomini che, dovendo prendere una decisione, presero quella giusta. Sono donne e uomini come loro che ti fanno sentire orgoglioso di essere italiano; anche se non devono rimuovere la vergogna dei troppi connazionali che collaborarono con i nazisti nella caccia agli ebrei.