Corriere della Sera

Eataly, arrivano i profitti Entro l’estate un partner per lo sbarco in Cina

Primo bilancio consolidat­o in utile. Guerra: un negozio in ogni capitale, puntiamo a 700 milioni di ricavi

- Raffaella Polato

MILANO Il primo bilancio consolidat­o porta con sé, anche, il primo utile netto. È simbolico — un milione da una perdita di 21, e un margine industrial­e di 254 milioni su 456 di ricavi—ma indica chela macchina aziendale non è più ferma a isoli successi d’ immagine: comincia a produrre reddito. E, forse, è arrivato il momento di guardare al « modello Eataly » in un’ottica diversa da quella cui ci siamo abituati. È e rimarrà un brand italiano che, creato dal niente, ha inventato un nuovo business globale « facendo sistema » ( e affari) con 2.228 piccoli produttori delle nostre eccellenze alimentari. Ma proprio perciò, da tempo, il metro di valutazion­e non può più essere l’italia. Promesse e scommesse del fondatore Oscar Farinetti ( conserva il 60%), dei soci di minoranza ( Tip di Gianni Tamburi su tutti), del presidente esecutivo Andrea Guerra( anche lui azionista, entro qualche mese, con un potenziale 3%), andranno misurate sulla capacità di rispettare la road map internazio­nale.

Non è un caso che Guerra, al primo Eataly Press Day, abbia due notizie da annunciare insieme ai conti consolidat­i. Una è particolar­mente suggestiva: ma ci vorranno ancora parecchi anni, investimen­ti e conferme per arrivare a « un E a tal yin ogni capitale nel mondo » . L’altra è dietro l’angolo, ed è un tassello fondamenta­le della strategia di svi- luppo: la Cina. Gli aspiranti soci della joint- venture necessaria a sbarcare nel più grande mercato del mondo « sono tanti: sceglierem­o entro l’estate, e probabilme­nte sarà un partner industrial­e » .

Dopodiché, Eataly potrà partire anche nell’ex Celeste Impero. Se riuscisse a replicare il successo americano, sarebbe la svolta chiave. Gli Stati Uniti, da New York a Los Angeles, sono il posto in cui il cibo made in Italy, i nostri prodot t i Dop o Doc, l a nost r a stessa cultura dei piccoli mercati di paese — in altre parole: l’idea base di Farinetti — hanno « s fondato » al punto da consentire tassi di crescita a due cifre abbondanti. Si dice spesso che, fin qui, Eataly non abbia rispettato i traguardi via

via fissati. È in parte vero. Come è vero ( di nuovo: in parte) che sulle perdite registrate fino al 2016 ( l’anno di ingresso di Guerra) ha pesato l’ alto ritmo di investimen­ti. Gli Usa però non hanno mai tradito. E il loro ruolo crescerà ancora: il piano al 2020, quello che dovrà portare i ricavi a 690720 milioni con un margine operativo lordo attorno al 9%, assegna agli States uno sviluppo medio annuo del 25%. Perda re un’ idea: il totalegrup­po è visto al + 17% ( media 2016- 2020), il « resto del mondo » al+ 20%, l’italia appena all’ 8%. Non stupisce. Da un lato ci sono i mercati con molte, a volte ancora tutte le potenziali­tà da sfruttare. Dall’altro noi, che « siamo » il made in Italy. Perciò sitorn alì: èsull’ internazio­nalizzazio­ne che si giocano le scommesse di Fari netti-Guerra-Tamburi. Dal miliardo di fatturato come« ambizione dilungo periodo », alla Borsa l ’anno prossimo: « Abbiamo dato appuntamen­to al 2019. Non stiamo modificand­o il percorso » . Per ora?

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La « 488 » La Ferrari 488 Pista presentata all’ultimo Salone di Ginevra
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Presidente esecutivo Andrea Guerra, 52 anni, di Eataly

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