L’ultima mossa di Giorgetti
I rapporti M5s-colle sono saltati Pochi margini alla «decantazione»
Un mediatore è geneticamente predisposto all’ottimismo. E ieri pomeriggio il leghista Giorgetti, uomo di mediazioni, si mostrava moderatamente ottimista: «Stiamo cercando di dare una mano a Mattarella. Forse gli risolviamo un problema».
Dal Quirinale era giunto un messaggio chiaro: «Niente numeri certi, niente incarichi». Al Quirinale era stato inviato un messaggio altrettanto chiaro: «Un gabinetto tecnico che sia di tutti (dunque di nessuno) a condizione che sia appoggiato anche dai Cinquestelle». Ecco cosa ha spinto ieri Salvini a lanciare l'idea di un gabinetto di scopo, seguendo il motto coniato dal suo vice: «Patti chiari, governo corto, amicizia lunga». Pochi mesi per mettere il Paese al riparo dall’aumento dell’iva, cambiare la legge elettorale e tornare alle urne. Ché poi lo schema era quello usato nelle logoranti trattative mai concluse tra Lega e M5S. Con una variante che il vice segretario del Carroccio si era incaricato di spiegare ai suoi interlocutori: «Il nome del premier lo concordiamo insieme. Però, visto che noi non punteremo su Salvini, voi non potrete puntare su Di Maio».
L’ottimismo serve nelle mediazioni, a condizione che ci sia chi vuol mediare. E dall’altra parte i grillini, consapevoli che gli sarebbe arrivata un’offerta, si erano già premurati pubblicamente di respingerla. Così il fine settimana che il Colle aveva concesso per consentire alle forze politiche di trovare un’intesa, si è trasformato in un’ordalia di parole che hanno di fatto anticipato le prossime consultazioni. I Cinquestelle sono ormai sulle barricate, Di Maio chiede le «elezioni subito», parla di «traditori della Patria» ed evoca «la piazza». Sul proprio cellulare Salvini legge i messaggi che alcuni grillini hanno inviato al loro capo politico («Cosa stiamo facendo?»), e si fa interprete del disorientamento in casa d’altri: «Anche nel Movimento sta maturando l’idea che, se bisogna accompagnare l’italia al voto, bisogna farlo seriamente e senza perdere le staffe».
Ma non si vedono margini per quel «governo di decantazione» con cui il presidente della Repubblica vorrebbe quantomeno far partire la legislatura. Di Maio si rivolge sempre in modo rispettoso verso Mattarella, ma è evidente che i rapporti tra il Colle e il leader grillino sono saltati da giorni: con esattezza dal secondo giro di consultazioni di Fico con la delegazione del Pd, quando ai dirigenti del Movimento è parso chiaro che Renzi stava per mettersi di traverso. Perciò Di Maio lanciò il preavviso: «Noi non saremo mai disponibili a governi di scopo, istituzionali, tecnici o che dir si voglia». E siccome proprio Di Maio sarà il primo ad essere ricevuto dal capo dello Stato dopodomani, si può ritenere che quell’incontro sarà l’alfa e l’omega del tentativo estremo.
Il piano sembra ormai inclinato verso il voto. Se ieri Salvini ha fatto mostra di non darsi per vinto, se non ha dato ascolto a suoi dirigenti che gli riferivano l’umore della base «e persino di rettori e imprenditori stanchi di questa mediazione con i grillini», è (anche) perché ha voluto offrire il profilo responsabile di chi lascia ad altri il compito di spegnere il cerino. E non c’è dubbio che il capo dello Stato, fosse costretto a certificare lo stallo, lo addebiterebbe alle forze politiche. La mossa del leader leghista è stata un modo abile per schivare quel colpo e respingere l’accusa di aver fallito nelle trattative di governo.
Tutti dicono di voler aiutare Mattarella, tutti si preparano al voto: non è ancora chiaro quando avverrà, di certo non sarà Gentiloni a gestirlo. Berlusconi confida che il prossimo inquilino di palazzo Chigi arrivi «almeno fino a dicembre», e cioè che Salvini dia il suo consenso al governo di decantazione. Ma il segretario della Lega non accetta di far partire la legislatura con il Pd al fianco e lasciando ai grillini l’esclusiva dell’opposizione. Inoltre, secondo quanto gli ha spiegato Giorgetti, anche con il voto in autunno si farebbe in tempo a sterilizzare l’aumento dell’iva. Il Cavaliere dunque non ha molte carte da giocare con l’alleato ed è convinto che «si andrà a votare ancora con l’attuale legge elettorale». A quel punto Salvini potrebbe completare il suo piano: cambiare definitivamente l’immagine del centrodestra e leghistizzarlo.
L’unica consolazione per il leader azzurro è sperare almeno che si avveri la profezia di Renzi, riferitagli da un autorevolissimo senatore azzurro: «I grillini al governo non ci andranno mai. Non sono in grado». Sarà, intanto sulla politica sta per abbattersi la tempesta perfetta. E siccome era preannunciata, nessuno (ma proprio nessuno) potrà ritenersi esente da colpe. Ieri sera, sotto il diluvio, l’ottimista Giorgetti ha confidato ad un alleato di non capirci più nulla: «Sono tutti matti». La legislatura è senza ombrello.