Le crepe di un Paese campione di libertà
La Svezia festeggia quest’anno i suoi cent’anni di democrazia. E che democrazia: il terzo Paese più democratico al mondo, la nazione ai vertici delle classifiche sull’uguaglianza di genere, la monarchia più amata con il re regnante da più tempo (Carlo Gustavo XVI è sul trono da 44 anni e 231 giorni). E ancora: questa è la sede dell’istituzione culturale più prestigiosa, l’accademia dei Nobel, questa è una delle nazioni più sicure e ospitali. Un modello riconosciuto da tutti, che a settembre andrà a votare per eleggere i 349 deputati del Riksdag, il Parlamento. Ma ecco, proprio ora quel modello ha il fiato grosso. Sull’accademia dei Nobel della Letteratura fa testo la cronaca odierna: gestioni torbide, conflitti di interesse, sospetti di corruzione, manipolazione delle notizie (il fotografo Arnault, accusato delle molestie su 18 donne, avrebbe anticipato per anni all’esterno i nomi dei futuri Nobel, almeno 7, e fra questi Bob Dylan). Quanto all’uguaglianza di genere, parla ancora la cronaca: crescono le molestie, gli stupri sono aumentati del 13% solo nel 2016. E l’ospitalità? La Svezia ha accolto 163 mila richiedenti asilo nel 2015, 30 mila nel 2016; e il premier socialdemocratico Stefan Lovofen, li vorrebbe dimezzare ancora, se vincerà alle elezioni di settembre. La stessa democrazia, seppure condivisa dalla grande maggioranza della popolazione, non sembra protetta da leggi-bastione come in Germania o in Norvegia: basta una maggioranza semplice di deputati — non una super maggioranza, come a Oslo o Berlino — per chiedere una modifica della Costituzione. La Svezia resta un Paese libero e progressista, che ha tutte le ragioni per festeggiare i suoi cent’anni di democrazia: ma forse nessuno, nel ventunesimo secolo, può dare più nulla per scontato.