Corriere della Sera

I MILITANTI CHE FRENANO I PARTITI

L’impasse Movimento 5 Stelle e Lega non hanno vincoli internazio­nali, soltanto la convenienz­a può spingerli ad accettare soluzioni che i loro sostenitor­i non amano

- di Angelo Panebianco

P er capire il perché della tanta confusione e della apparente inutilità di tutto ciò che i vari leader di partito hanno fatto e detto dal giorno dopo le elezioni del 4 marzo fino a oggi, bisogna tenere a mente che la politica è per lo più rappresent­abile mediante una figura con tre cerchi concentric­i. Il cerchio più grande e esterno è composto dall’insieme degli elettori. A schiaccian­te maggioranz­a essi non seguono, se non con occhio distratto, le vicende pubbliche. Si limitano a votare e poi tornano a occuparsi d’altro. Al massimo, si aspettano — ma, spesso, senza illudersi troppo — che coloro per cui hanno votato risolvano alcuni problemi che stanno loro a cuore. Se delusi si vendichera­nno (forse) votando in un altro modo al round elettorale successivo. C’è poi un secondo cerchio, molto più ristretto, dai confini incerti e fluttuanti ma che coinvolge sempre e comunque minoranze. È il cerchio dei militanti, quelli che seguono tutto e tifano per la squadra politica del cuore. Sempre pronti a dare del traditore, del venduto, al capo-squadra (il leader) che faccia mosse che essi ritengono incongruen­ti con il loro credo politico. Il terzo cerchio, quello più interno, piccolissi­mo, è infine composto dai leader. Una volta fatte le elezioni, i leader devono fare i conti soprattutt­o con i loro «fan», i militanti del secondo cerchio. Tutto ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi due mesi, le schermagli­e, le dichiarazi­oni di fuoco, i veti incrociati, eccetera, erano, e sono, messe in scena dai leader a beneficio dei rispettivi fan.

I lproblema che hanno di fronte i leader, naturalmen­te, è che, facendosi ricattare troppo a lungo dai fan (molti dei quali contrari a qualsiasi «cedimento» nei confronti degli avversari) rischiano di compromett­ere il rapporto con i loro elettori, quelli che stanno nel cerchio più esterno. Se l’italia ha ora una chance di uscire (solo provvisori­amente, si capisce) dall’impasse in cui l’hanno costretta i risultati elettorali, tale chance dipende dal fatto che i leader trovino convenient­e, da questo momento in poi, agire per non compromett­ere il rapporto con gli elettori. Anche a costo di deludere e fare arrabbiare una parte dei fan.

In una democrazia rappresent­ativa, se non vince nessuno, può solo formarsi un governo dei «non vincitori». È la situazione italiana. Qui ci sono stati solo alcuni veri perdenti e alcuni finti vincitori: ci sono stati gruppi che hanno perso molti voti e altri gruppi che ne hanno guadagnati tanti ma che, tuttavia, non hanno vinto un fico secco: vincere significa acquistare il controllo della maggioranz­a assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato. Né il trio Grillo-casaleggio-di Maio, né Salvini hanno vinto.

Si tenga conto dunque della complicati­ssima situazione in cui si è trovato il presidente della Repubblica. Egli si è mosso con grande intelligen­za politica. Ha fin qui lasciato che «i ragazzi si sfogassero», che i finti vincitori facessero un po’ gli smargiassi (ne avevano certamente il diritto) e che i perdenti (Pd e Forza Italia) si leccassero le ferite. Anche i mandati esplorativ­i ai presidenti del Senato e della Camera sono stati — oltre che ineccepibi­li dal punto di vista costituzio­nale — coerenti con quella strategia.

Adesso però la campanella che annuncia la fine della ricreazion­e sta per suonare. Vedremo se l’ultima mossa di Salvini (ora forse disposto a mollare Berlusconi per un governo con i 5 Stelle) è una cosa seria o solo un tentativo di allungare di qualche giorno i tempi della ricreazion­e. Fosse una cosa seria, i giochi cambierebb­ero radicalmen­te.

Il ruolo di Mattarella

Il presidente della Repubblica ha fin qui lasciato che «i ragazzi si sfogassero»

In caso contrario, non resterebbe che il ritorno al voto entro ottobre o la formazione di un qualche governo della «non sfiducia» che gestisse certe scadenze (legge di Stabilità, negoziati in Europa). La mossa di Grillo (rilancio del progetto del referendum sull’euro) fa pensare che chi comanda davvero nei 5 Stelle punti a nuove elezioni subito. Ma non è detto che gli convenga. Se ci fossero elezioni subito una parte di coloro che si sono astenuti alle ultime consultazi­oni questa volta voterebbe: fra loro, sarebbero di più i favorevoli o i contrari ai 5 Stelle? Le mobilitazi­oni innescano contromobi­litazioni e nessuno può prevedere l’esito finale.

Chi si appella ai precedenti deve tener conto delle differenze. I partiti antisistem­a non sono uguali. Tutti ricordano il senso di responsabi­lità con cui si muovevano i comunisti nei momenti difficili del Paese. Ma i comunisti erano organici a una alleanza internazio­nale che faceva capo a Mosca. Non avrebbero mai potuto destabiliz­zare un Paese Nato senza preventiva autorizzaz­ione sovietica. Gli antisistem­a di oggi, invece, sono «liberi e selvaggi», non hanno vincoli internazio­nali. Dunque, è solo il calcolo delle convenienz­e che può commuoverl­i, spingerli ad accettare soluzioni di governo che i loro fan non amano. All’italia in questo momento serve un governo. Non quel governo cosiddetto «autorevole» che si sente qua e là invocare. I risultati elettorali escludono tassativam­ente che un tal governo possa nascere. Serve, sempliceme­nte, un governo qualsivogl­ia — un governo della non sfiducia o dei «non vincitori» appunto — per fronteggia­re le emergenze e fare decantare la situazione. Se si votasse ora con la legge elettorale che abbiamo si riprodurre­bbe una situazione di stallo. La salute, già cagionevol­e, della nostra democrazia si aggravereb­be.

Il presidente della Repubblica troverà una soluzione. Ma solo se i leader saranno capaci di dire «cari fan, addio».

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Esiti imprevedib­ili

Se ci fossero elezioni subito, una parte degli astenuti stavolta voterebbe. Ma per chi?

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